Cronaca

Manovre a rischio e minacce alla Geo Barents. Msf: “Ecco cosa fa la Libia con la motovedetta donata dall’Italia, che se ne lava le mani”

Nei porti italiani, i fermi amministrativi per non aver collaborato con la guardia costiera libica. In mare, le vessazioni dei libici, anche fuori dall’area di ricerca e soccorso di loro competenza. Questa la situazione per le navi umanitarie che operano nel Mediterraneo Centrale. Nel fine settimana appena trascorso, la Geo Barents di Medici senza frontiere (Msf) ha prima assistito a un respingimento e poi subìto le minacce e le manovre azzardate di una motovedetta libica nel bel mezzo di un’operazione di soccorso in acque internazionali. A denunciare quanto accaduto il 16 marzo è l’equipaggio, ora in viaggio con 249 persone verso l’ennesimo porto lontano assegnato dalle autorità italiane, Marina di Carrara, dove non arriveranno prima di mercoledì. Il giorno prima, racconta la responsabile dei soccorsi Fulvia Conte, “abbiamo provato a soccorrere un barchino con 100 persone già monitorato da tutto il giorno da diversi aerei di Frontex. Sul posto abbiamo invece assistito all’intercettazione della guardia costiera libica, in acque internazionali e in zona di ricerca e soccorso di competenza maltese, a sole 40 miglia a sud di Lampedusa. Le persone sono state riportate in Libia, dove sappiamo che subiscono abusi e torture”. A dirlo è anche una sentenza della Cassazione, che ha dichiarato reato affidare i migranti alla guardia costiera libica che li riporta in Libia, in quanto Paese non sicuro. E per questo a febbraio ha condannato il comandante della nave Asso 28 che così aveva fatto.

Il 16 marzo la Geo Barents soccorre un barchino di vetroresina dal quale era partito l’allarme. “Per tutto il tempo siamo sempre stati seguiti da due motovedette, che poi sono sparite. Un’ora più tardi, nello stesso tratto di mare avvistiamo un’altra barca, di legno, con oltre cento persone”, ricostruisce Juan Matias Gil, capo missione di Msf per le operazioni di soccorso nel Mediterraneo Centrale. Sempre in acque internazionali, ma stavolta in zona SAR (search and rescue) libica. “Come sempre, l’avvistamento e così tutte le successive operazioni sono state immediatamente comunicate alle autorità libiche, a quelle italiane e maltesi e alla Norvegia, Paese di bandiera della Geo Barents”, spiega. Verificata la necessità di assistenza, ha inizio il soccorso. Le operazioni sono già avviate quando all’improvviso arriva la motovedetta libica TS-LGC-300, donata dall’Italia e consegnata alle autorità libiche dal ministro degli Esteri Antonio Tajani e dal titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, durante la cerimonia nei cantieri Vittoria di Adria il 6 febbraio scorso. Come si comporterà la motovedetta lo dicono le immagini registrate, dalla Geo Barents ma anche dall’aereo di pattugliamento Seabird 2 dell’organizzazione Sea Watch. Immagini che Msf definisce “emblematiche di quel che sta accadendo”.

“Dopo aver comunicato via radio con un’altra motovedetta, respingono ogni nostra spiegazione e impongono ai nostri gommoni di fermare tutto e iniziano una serie di pericolose manovre”, riferisce Gil. “Ma cosa stanno facendo… è davvero, davvero pericoloso”, commenta l’equipaggio del Seabird 2 mentre i libici accostano uno dei due gommoni di Msf, apparentemente intenzionati ad agganciarlo. “Hanno provato a imbarcare un gommone, minacciando l’equipaggio”, racconta Fulvia Conte. Passa il tempo e la situazione non si sblocca, con alcuni migranti già a bordo della nave, altri su uno dei gommoni e altri ancora sul barcone di legno. “C’era la ferma intenzione di impedirci di completare il soccorso”, continua Conte, denunciando il rischio di un respingimento “che ha creato pericolosi momenti di panico”. Ci sono volute due ore prima che i libici smettessero di intimidire quelli di Msf. Nel frattempo, la Geo Barents comunicava alle altre autorità quanto stava accadendo. Tutti avevano già ricevuto ogni informazione sulla situazione di pericolo e sul soccorso. L’Italia, spiega Gil, “si limita a rispondere che non è di sua competenza, di parlare coi libici”. La Norvegia promette invece di contattare le autorità libiche. “Ma non sappiamo come sia andata, so solo che l’ennesima comunicazione telefonica con i libici sblocca la situazione: ok, fate, ci dicono, e la motovedetta se ne va”.

Intanto, però, “non è la prima volta che mettono in pericolo le operazioni di soccorso: una motovedetta pagata con le tasse di cittadini europei che mette a repentaglio la sicurezza in mare contro ogni regola, contro una nave europea alle prese con un soccorso”, aggiunge Gil. Volevano che consegnaste loro i migranti, avreste potuto? “No, a meno di non violare il diritto marittimo internazionale e di non volere una condanna come quella della Cassazione: avremmo facilitato il rientro in un Paese non sicuro e per questo saremmo stati giudicati. Semplicemente non si può fare”. Eppure i fermi amministrativi che tengono bloccate nei porti italiani molte navi umanitarie sono dovuti proprio alla mancata collaborazione coi libici. “Ci sono prove fin troppo evidenti della violenza con cui agisce la guardia costiera libica, non è il modo di operare di istituzioni di uno stato civilizzato. Nonostante la formazione e i mezzi forniti dall’Italia, continuano sistematicamente a violare il diritto internazionale, respingimenti compresi”. Qualcuno si domanda se non ne avete abbastanza, perché le ong non reagiscono in modo più netto, anche alla luce della sentenza su Asso 28 e dei processi che, anche recentemente, si risolvono sempre in loro favore. “Abbiamo un coordinamento e ci ragioniamo, ma la priorità resta il soccorso e non possiamo rischiare battaglie che riducano ancora lo spazio operativo in mare, già compresso dalle nuove norme e dall’assegnazione di porti lontani che ci fa sprecare tempo e soldi destinati ai naufraghi”. Gli sbarchi si sono ridotti. “Vero, ma è stato un inverno di vento e mare pessimo, con pochi giorni utili alle partenze. Per capire come stanno le cose non basta un periodo così breve, pochi mesi invernali. Vedremo col meteo a favore”.