Cinquemila studentesse e studenti, donne e uomini in piazza a Napoli, il 16 marzo, hanno dato vita a un corteo che si è sviluppato da Piazza Garibaldi a Piazza Plebiscito per contestare l’autonomia differenziata.

In prima linea hanno sfilato i sindaci di Comuni del Sud: un colpo d’occhio significativo, dietro lo striscione “Non ci scassate il Paese”. L’iniziativa, promossa dai Comitati Per il Ritiro di ogni autonomia differenziata, l’unità della Repubblica, l’uguaglianza dei diritti e dal Tavolo NOAD, è stata un successo. Per cinque anni, dal 2018 quando vennero firmate le pre-Intese con Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna, i media non si sono occupati e preoccupati dei pericoli gravissimi che l’autonomia differenziata avrebbe comportato per l’unità e l’indivisibilità della Repubblica. Oggi finalmente è chiaro all’opinione pubblica quali colpi di maglio sarebbero inflitti ai diritti sociali di tutti i cittadini e le cittadine e del colpo mortale che sarebbe inflitto al Mezzogiorno se il disegno di legge del ministro Calderoli passasse.

A Napoli, il 16 marzo, c’è stato un corteo lungo, rumoroso, gioioso, animato dalla presenza di scuole (gli studenti e le studentesse di un liceo di Corato, che si sono esibiti in un flash mob all’arrivo in Piazza Plebiscito); di artisti che hanno cantato e suonato solo per testimoniare la propria vicinanza alla lotta (Massimo Ferrante e il gruppo Terra e Lavoro). A Napoli ha parlato padre Alex Zanotelli, esprimendo – con la consueta semplicità – i motivi della necessità di una lotta che riguarda tutte e tutti, da Nord a Sud. La giornalista Francesca Fornario ha creato, con umorismo e intelligenza, il clima giusto per gli interventi conclusivi. Marisa Laurito ha voluto – all’inizio del corteo – testimoniare la sua solidarietà alla lotta contro l’autonomia differenziata. Pur con queste significative presenze dobbiamo riscontrare, denunciando questa volta non l’omissione ma il dolo, che i media nazionali non hanno ritenuto di informare di una importante giornata per la democrazia italiana.

L’autonomia differenziata è il pericolo più insidioso – insieme al premierato assoluto – che la Repubblica abbia mai dovuto affrontare. Il ministro Calderoli, a mo’ di Caterpillar (come lui stesso si definisce), va avanti imperterrito, incurante persino delle voci di importanti istituzioni – Confindustria, Banca d’Italia, UPB, Commissione europea – che sottolineano le conseguenze negative dell’autonomia differenziata sul sistema economico e sulla disarticolazione dell’amministrazione pubblica, oltre che sulla fruizione dei diritti sociali; o di quella della CEI, che quotidianamente denuncia l’acuirsi delle disuguaglianze sociali e territoriali che la realizzazione dell’autonomia differenziata produrrà.

Occorre però rendersi conto che se la de-forma Calderoli sarà approvata, dopo ci sarà poco da fare. Certo, forse, si potrà andare al referendum – ma il ddl Calderoli è collegato al bilancio proprio per impedirlo; di sicuro i presidenti di Regione potranno ricorrere alla Corte costituzionale per la lesione dei diritti delle Regioni che non sottoscriveranno le Intese, ma così si potranno solo raccogliere i cocci.

Ora è il tempo di costruire vasti movimenti di opposizione nel Paese e in Parlamento: sindacati, partiti, associazioni, il mondo della cultura e delle professioni devono mobilitarsi. La Via maestra deve essere presente e attivare tutte le organizzazioni ad essa aderenti per coinvolgere tutti i territori , dal Nord al Sud, per far sentire il No al ddl Calderoli.

Il movimento deve crescere per evitare di farci trovare, un giorno non lontano, in un Paese più diseguale e meno prospero. Un Paese in cui il contratto collettivo nazionale sarà compromesso. Lo stesso modo in cui si è interpretato fino ad oggi – nel bene e nel male – il conflitto sociale dovrà essere rivisitato alla luce di 20 repubblichette a marce diverse, che – prove tecniche del premierato – saranno governate dal centralismo regionale: l’uomo solo al comando (il sedicente “governatore”) autonomo, autoreferenziale, senza più i limiti che la legislazione nazionale, pur nella sua imperfezione e spesso nelle sue gravi lacune, ha posto per garantire un minimo di equilibrio e di uguaglianza tra le diverse zone del Paese. All’interno delle stesse Regioni, l’autonomia differenziata produrrà diseguaglianze tra cittadini/e ricchi/e e poveri/e: quella che Gianfranco Viesti ha chiamato “la secessione dei ricchi”.

I Comuni saranno sempre più depauperati, ed è questo il motivo per cui i sindaci hanno una funzione strategica nel contrasto all’autonomia differenziata. Un Paese spezzettato, che – insieme all’ unità e indivisibilità – avrà fatto carta straccia delle conquiste del mondo del lavoro, dei diritti frutto delle lotte, dei diritti universali – come sanità e istruzione -, dei principi della Costituzione, scritta con il sangue delle partigiane e dei partigiani.

Tutto ciò si può ancora evitare. Crederci è un dovere e una responsabilità. Essere uniti una scelta doverosa, al di là delle strategie elettoralistiche, degli opportunismi, delle rivisitazioni del passato, un obbligo. Chi da anni si occupa di questo problema sa bene, benissimo, come siamo arrivati fino qui. Ma ora è il momento di abbandonare reticenze, balbettii, sospetti, accuse. E’ il momento di comprendere che solo uno sforzo collettivo e a viso aperto di tutta l’Italia che crede e si riconosce ancora nella Repubblica democratica e nei principi che l’hanno orientata, che vuole superare il divario tra Nord e Sud, può salvarci dalla discesa nel precipizio dell’egoismo, delle lusinghe ipocrite di un beneficio solitario, dalla esigibilità dei diritti sulla base del certificato di residenza. È ora il tempo in cui denunciare e opporsi al patto scellerato tra Meloni e Salvini, allo scambio tra premierato assoluto e autonomia differenziata che distruggerà le fondamenta della Repubblica democratica.

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