Il servizio idrico municipale può avere un ruolo nel migliorare la qualità dell’aria? Qualcuno pensa di sì. Per tentare di ridurre il livello d’inquinamento che ha colpito Lahore negli ultimi tempi, il governo ha lanciato un programma emergenziale di lavaggio delle strade per eliminare le polveri, una città senza polvere (Down, 18 marzo 2024). Questa misura può essere attuata usando mezzi specializzati di lavaggio strade ad alta pressione, una operazione chiamata sweeping. E così faranno a Lahore, seconda città del Pakistan con 14 milioni di abitanti.
In alternativa, la soluzione è una rete idrica cittadina dedicata a questi usi. Quando nel 1922 il Comune di Genova approvò il progetto per la costruzione di un acquedotto marino, si trattava di una novità perché in tutta Italia non esistevano impianti simili, anche se in diverse città (Genova compresa) c’erano già piccoli impianti che utilizzavano l’acqua di mare per innaffiare le strade (Figura 1). Fu dismesso 50 anni fa, per carenza di manutenzione.
La riduzione del pulviscolo stradale non è quindi fantascienza, se l’idea risale a Napoleone III, imperatore dei Francesi (Figura 2). E, negli ultimi vent’anni, una corposa letteratura scientifica mostra l’efficacia del water flushing, combinato o meno con lo sweeping, nel mitigare l’inquinamento dell’aria a scala municipale. Se i lettori saranno incuriosi dal progetto genovese, in futuro ne potrò parlare in maggior dettaglio. Per ora mi soffermo su Milano, dove la qualità dell’aria è oggetto di rampogne planetarie.
A Milano, il Servizio Idrico Integrato può fornire un contributo importante, finora sottovalutato né mai verificato in concreto, alla qualità dell’aria. In Italia, il particolato è diminuito di un terzo rispetto ai primi anni ‘90, ma dall’inizio del secolo si è stabilizzato, con una leggera crescita nel 2012 e nel 2013, e nuovamente nell’ultimo periodo.
Secondo un Rapporto Ispra di qualche anno fa, riscaldamento civile e terziario sono i maggiori responsabili: pesano quasi per il 60 percento. I trasporti contano in tutto per meno del 20 percento, quelli su gomma per il solo 12. Diversa è la situazione a Milano e in altre città padane, dove riscaldamento civile e terziario contano meno del 40 percento, mentre i trasporti contribuiscono per il 50.
Capire quanto pesino il traffico o le singole sorgenti è complicato e soggetto a non poche incertezze, mentre è del tutto chiaro come la situazione nella valle del Po sia controllata dalla circolazione atmosferica a scala sinottica. I dati Ispra indicano comunque che pneumatici, freni e manto stradale pesano per il 36 percento sul totale dell’inquinamento da particolato (pm10 e pm2,5) prodotto dal traffico su gomma. Non è poco. E i veicoli a trazione elettrica consumano freni e pneumatici anche più dei tradizionali veicoli a trazione termica.
Milano avrebbe abbastanza acqua? Dalla fine del ‘900 la falda milanese si alza con una velocità fino a mezzo metro all’anno. Prima o poi, ritornerà ai livelli di fine ‘800 o, almeno, tenderà a farlo. Quando era praticamente indisturbata — prima dell’età industriale — la falda del sud Milano era profonda meno di tre metri e affiorava lungo la linea delle risorgive, dove sorgevano le abbazie medievali. Nonostante la miriade di infrastrutture ed edifici sotterranei che pescano e buttano acqua di continuo per difendere l’agibilità degli interrati, la piezometrica sale. Nonostante sia stato installato un buon numero di pompe di calore; e molte di loro riversino in fogna le acque prelevate, la piezometrica sale.
Non ho dati aggiornati ma — per contenere il fenomeno — i cosiddetti “pozzi depressione falda” del Comune, attivi dal 1999 in poi, aspiravano in continuo più di mille litri d’acqua al secondo per riversarla in fogna.
Da molti anni Milano estrae dall’acquifero cittadino più di un metro cubo d’acqua al secondo, quasi cento milioni di litri d’acqua al giorno, per abbassare il livello della falda, con costi energetici non trascurabili, per immetterli subito dopo in fognatura, minacciando anche l’efficienza del sistema della depurazione. Perché non usare quell’acqua per lavare le strade, come fanno tradizionalmente molte città francesi? O come quelle coreane, con impianti all’avanguardia (Figura 3)?
Milano pulita non sarebbe un cattivo biglietto da visita. E l’acquedotto duale potrebbe eliminare una quota non marginale del pulviscolo che, appena si accumula sui selciati, viene risollevato in aria dal traffico veicolare.
Il water flushing sarebbe una bella novità rispetto allo sweeping con la mitica Foca Barbisa (Figura 4). La sua efficacia va sperimentata utilizzando flussi significativi di adacquamento a scorrimento. Ho proposto più volte di sperimentare questo metodo, senza alcun esito. Soltanto durante una delle molte “emergenza-aria” di fine ‘900, il Comune fece un timido, circoscritto tentativo con piccole autobotti a gravità; tutto grazie a Domenico Zampaglione, Assessore all’Ambiente della Giunta Albertini, al quale Milano deve la costruzione dei depuratori, ultima delle grandi città europee ad adeguarsi alle norme comunitarie.
In questo secolo, riproposi il water flushing nelle diverse edizioni dell’Agenda 21, il programma di azione a scala locale scaturito dal Summit della Terra del 1992, che la politica italiana ha ridotto a una grida manzoniana. E, poco prima della pandemia, mi sono nuovamente permesso di suggerire questa iniziativa alla Servizio Idrico Integrato.
Secondo una visione moderna, l’acquedotto duale potrebbe altresì integrarsi o alternarsi con una rete duale di drenaggio, destinata a raccogliere una quota di acque piovane. Queste acque, immagazzinate temporaneamente anche per ridurre gli allagamenti stradali, potrebbero essere riutilizzate tramite la re-immissione in pressione sul selciato stradale. A tal fine, si possono adottare varie e innovative tecnologie di “drenaggio sostenibile” (Figura 5) con il ricorso all’Intelligenza Artificiale o anche senza. Forse basta il naturale buon senso.