C’è qualcosa che colpisce profondamente nella vicenda Jesus-Acerbi e va oltre l’uso della parola “negro”. È il concetto, chiave, della diversità intesa come principio di discriminazione. Nel messaggio di lunedì sera su Instagram, il difensore del Napoli ha scritto: “Acerbi mi ha detto vai via nero, sei solo un negro”. Ci sono indagini aperte sulla questione, il Giudice sportivo ha richiesto un supplemento d’indagine e l’audizione dei giocatori, la Procura Federale dovrà andare a fondo sulla vicenda, anticipare conclusioni è sicuramente prematuro, ma c’è un dato di fatto sul quale non si può discutere: siamo di fronte a un episodio che impone un’accurata e onesta riflessione. La parola “negro”, derivato dall’inglese “nigger”, circola ancora abbondantemente in un certo linguaggio comune. Talvolta ne fanno uso anche persone insospettabili, che in condizioni “normali” non si sognerebbero mai di adoperarla, ma che in una situazione “alterata” la estraggono dagli anfratti del cervello. Fino agli Novanta era quasi normale l’utilizzo del termine. La percezione di termini e di persone cambia quando l’Italia inizia a fare i conti con l’immigrazione di massa e una parte del paese, soprattutto a Nord, reagisce in modo incontrollato. Inutile dire che sarebbe servita, da sinistra a destra, una cultura di governo ben diversa sul tema dell’accoglienza e della gestione di un rinnovamento inevitabile della nostra società. Inutile anche ricordare che in quel preciso periodo storico si affacciarono sulla scena politica forze come la Lega e il berlusconismo che sdoganò il fascismo in modo sgangherato, senza fare pubblica ammenda di peccati gravissimi, come quello, per esempio, delle leggi razziali del 1938.
Mentre in alcune nazioni europee, Gran Bretagna in testa, il contrasto al razzismo dalla fine degli anni Ottanta a oggi è diventato un impegno serio e rigoroso, l’Italia non è riuscita a percorrere la stessa strada. Ci sono settori della vita civile che hanno mantenuto la barra dritta, ma il sistema paese è stato ondivago: un passo avanti e uno indietro. L’Italia, che non ha saputo fare i conti con le leggi razziali e con il fascismo, è oggi un’Italia che fatica ad accettare, soprattutto negli strati sociali più bassi, la diversità. Ecco allora il senso che indigna maggiormente nelle parole di Acerbi: tu sei solo un nero/negro. E’ il “solo” che dovrebbe scuotere le nostre coscienze, perché dietro quel “solo” si nasconde un mondo. Sei “solo” un nero/negro, inteso come essere un altro diverso da chi, con protervia, mette le distanze tra il suo essere e quello dell’interlocutore.
Il razzismo è una brutta bestia e ha radici profonde. Appena 70 anni fa, la segregazione era prassi negli Stati Uniti. Il 22 giugno 1954 Sarah Flemming, una cittadina afroamericana di 21 anni, salì sull’autobus e si sedette sull’unico posto libero, nella zona riservata ai bianchi: l’autista fermò il mezzo, ordinò a Sarah di scendere e le diede un pugno allo stomaco. Nel settembre 1957, a Little Rock, in Arkansas, una folla di cittadini cercò di impedire a nove bambini neri di entrare nella scuola pubblica: il presidente Eisenhower inviò mille paracadutisti per risolvere la faccenda. Gli Usa stanno facendo ancora i conti con la bestia: la morte di George Floyd nel maggio 2020, il nero ucciso dopo l’intervento di quattro agenti, dimostra che il razzismo è ancora vivo e vegeto da quelle parti. Nel Regno Unito, la reazione fu immediata dopo l’omicidio di Floyd. I calciatori, supportati da Premier e federazione, adottarono il taking knee, l’inginocchiamento prima delle gare, un gesto di profondo valore simbolico che segnò la stagione 2020-2021. Da noi, in Italia, si discusse “se” e “come” aderire alla protesta in occasione degli europei. Si fecero mille distinguo sulla posizione da adottare da parte della nazionale. I giocatori erano divisi. Francesco Acerbi faceva parte di quella squadra. Il dibattito di allora dovrebbe averlo coinvolto e riguardato. L’episodio che lo ha avuto protagonista con Jesus dimostra che evidentemente, anche in quella circostanza, si perse una magnifica occasione per produrre uno scatto culturale. Siamo ancora alla casella di partenza. “Sei solo un nero/negro”.
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Il caso Juan Jesus-Acerbi è l’Italia medievale: la diversità non può essere intesa come principio di discriminazione | il commento
C’è qualcosa che colpisce profondamente nella vicenda Jesus-Acerbi e va oltre l’uso della parola “negro”. È il concetto, chiave, della diversità intesa come principio di discriminazione. Nel messaggio di lunedì sera su Instagram, il difensore del Napoli ha scritto: “Acerbi mi ha detto vai via nero, sei solo un negro”. Ci sono indagini aperte sulla questione, il Giudice sportivo ha richiesto un supplemento d’indagine e l’audizione dei giocatori, la Procura Federale dovrà andare a fondo sulla vicenda, anticipare conclusioni è sicuramente prematuro, ma c’è un dato di fatto sul quale non si può discutere: siamo di fronte a un episodio che impone un’accurata e onesta riflessione. La parola “negro”, derivato dall’inglese “nigger”, circola ancora abbondantemente in un certo linguaggio comune. Talvolta ne fanno uso anche persone insospettabili, che in condizioni “normali” non si sognerebbero mai di adoperarla, ma che in una situazione “alterata” la estraggono dagli anfratti del cervello. Fino agli Novanta era quasi normale l’utilizzo del termine. La percezione di termini e di persone cambia quando l’Italia inizia a fare i conti con l’immigrazione di massa e una parte del paese, soprattutto a Nord, reagisce in modo incontrollato. Inutile dire che sarebbe servita, da sinistra a destra, una cultura di governo ben diversa sul tema dell’accoglienza e della gestione di un rinnovamento inevitabile della nostra società. Inutile anche ricordare che in quel preciso periodo storico si affacciarono sulla scena politica forze come la Lega e il berlusconismo che sdoganò il fascismo in modo sgangherato, senza fare pubblica ammenda di peccati gravissimi, come quello, per esempio, delle leggi razziali del 1938.
Mentre in alcune nazioni europee, Gran Bretagna in testa, il contrasto al razzismo dalla fine degli anni Ottanta a oggi è diventato un impegno serio e rigoroso, l’Italia non è riuscita a percorrere la stessa strada. Ci sono settori della vita civile che hanno mantenuto la barra dritta, ma il sistema paese è stato ondivago: un passo avanti e uno indietro. L’Italia, che non ha saputo fare i conti con le leggi razziali e con il fascismo, è oggi un’Italia che fatica ad accettare, soprattutto negli strati sociali più bassi, la diversità. Ecco allora il senso che indigna maggiormente nelle parole di Acerbi: tu sei solo un nero/negro. E’ il “solo” che dovrebbe scuotere le nostre coscienze, perché dietro quel “solo” si nasconde un mondo. Sei “solo” un nero/negro, inteso come essere un altro diverso da chi, con protervia, mette le distanze tra il suo essere e quello dell’interlocutore.
Il razzismo è una brutta bestia e ha radici profonde. Appena 70 anni fa, la segregazione era prassi negli Stati Uniti. Il 22 giugno 1954 Sarah Flemming, una cittadina afroamericana di 21 anni, salì sull’autobus e si sedette sull’unico posto libero, nella zona riservata ai bianchi: l’autista fermò il mezzo, ordinò a Sarah di scendere e le diede un pugno allo stomaco. Nel settembre 1957, a Little Rock, in Arkansas, una folla di cittadini cercò di impedire a nove bambini neri di entrare nella scuola pubblica: il presidente Eisenhower inviò mille paracadutisti per risolvere la faccenda. Gli Usa stanno facendo ancora i conti con la bestia: la morte di George Floyd nel maggio 2020, il nero ucciso dopo l’intervento di quattro agenti, dimostra che il razzismo è ancora vivo e vegeto da quelle parti. Nel Regno Unito, la reazione fu immediata dopo l’omicidio di Floyd. I calciatori, supportati da Premier e federazione, adottarono il taking knee, l’inginocchiamento prima delle gare, un gesto di profondo valore simbolico che segnò la stagione 2020-2021. Da noi, in Italia, si discusse “se” e “come” aderire alla protesta in occasione degli europei. Si fecero mille distinguo sulla posizione da adottare da parte della nazionale. I giocatori erano divisi. Francesco Acerbi faceva parte di quella squadra. Il dibattito di allora dovrebbe averlo coinvolto e riguardato. L’episodio che lo ha avuto protagonista con Jesus dimostra che evidentemente, anche in quella circostanza, si perse una magnifica occasione per produrre uno scatto culturale. Siamo ancora alla casella di partenza. “Sei solo un nero/negro”.
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Caso Acerbi, o Juan Jesus è un bugiardo o è razzismo: la toppa del “fraintendimento” è molto peggio del buco | il commento
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Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Da due o tre giorni avevamo capito che eravamo quasi arrivati alla conclusione di questa vicenda". Lo ha detto Antonio Tajani a Porta a Porta sulla liberazione di Cecilia Sala.
"Stamattina l'ambasciarice è andata al carcere per la visita consolare e le hanno detto la visita è annullata per una buona notizia, l'ambasciarice ha capito e mi ha telefonato", ha raccontato il ministro degli Esteri spiegando tra l'altro: "Anche la famiglia è stata eccezionale, la mamma e il papà ci hanno dato una mano".
"La Santa Sede non ha dato una mano in maniera operativa ma c'è sempre stato sostegno. Ma non c'è stato un intervento del Vaticano", ha spiegato Tajani.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Fermo restando che la mia posizione di condanna è assoluta per alcuni gesti apologetici, avendo conosciuto quei ragazzi, Franco Bigonzetti, Francesco Ciavatta e Stefano Recchioni, i primi due uccisi da terroristi ai quali non si è mai dato un nome, esprimo il rammarico per il fatto che la Procura della Repubblica di Roma in 45 anni non abbia mai aperto una seria inchiesta sulla strage di Acca Larenzia". Il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri, intervenendo nell’aula del Senato.
"Noi chiediamo la verità su tante vicende italiane. Nei giorni scorsi, si è saputa una possibile verità sull’omicidio di stampo mafioso di Piersanti Mattarella a Palermo. Ma sulla strage di Acca Larenzia le tracce ci sono, perché la mitraglietta Skorpion che uccise Bigonzetti e Ciavatta poi è stata utilizzata anche successivamente dalle Brigate Rosse -ha detto ancora Gasparri-. Quelli che ieri, sbagliando, hanno fatto i saluti romani non inneggiavano alle Brigate Rosse ma ricordavano, con una ritualità che io non condivido, dei militanti di un partito politico, non di terroristi".
"Mentre le Brigate Rosse sono quelle che hanno usato la mitraglietta Skorpion per uccidere Bigonzetti e Ciavatta, poi Lando Conti, ex sindaco di Firenze, e il professor Ruffilli che era un professore impegnato nella Democrazia Cristiana. Quindi quell'arma e chi l’ha usata è transitato nelle Brigate Rosse", ha proseguito l'esponente di FI.
(Adnkronos) - "Basterebbe un’inchiesta per capire quali gruppi della periferia di Roma sud e dell’estrema sinistra hanno fatto questo transito. C’è un libro di un giornalista che si chiama Nicola Rao che ha descritto queste vicende ed è una vergogna che la Procura della Repubblica di Roma non abbia mai fatto un'inchiesta seria. Io l'ho detto pubblicamente a Lo Voi e lo dico a tutti i Procuratori del passato. La magistratura evidentemente non ha voluto la verità su quella vicenda. Protesto, quindi, per le verità mancate di una pagina di storia italiana tragica", ha concluso Gasparri.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Ho voluto partecipare in collegamento all'evento 'Comunità democratica' perché il partito cattolico è anacronistico, c'è bisogno di cominciare a discutere largamente di politica, di programmi, a far partecipare le persone e soprattutto di far diminuire l'astensione". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"C'è bisogno di cominciare a discutere, sono due anni che non si fa nel Paese. Queste iniziative sono benedette, penso che Schlein lo sappia", ha aggiunto Prodi proseguendo: "Deciderà Ruffini se entrare in politica o no. E' un uomo di qualità e dipenderà dalla rete che riuscirà a costruire. E' stato talmente bravo a combattere l'evasione fiscale che il Paese gli dovrebbe essere grato".
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Trump non vuole l'Europa coesa. Tratta Paese per Paese ed esercita su ciascuno una pressione particolare. Il problema è che Meloni non può essere portavoce o simbolo dell'Europa unita, Trump non lo permetterà mai". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"Trump e Musk ne dicono di tutti i colori e attaccano dall'interno i Paesi intervenendo; è il solito quadro: Trump imprevedibile. Prevedo un grande cambiamento. E' finita la globalizzazione economica e Trump tenta quella politica: l'intervento negli affari interni di tutti i Paesi", ha aggiunto.
"La cosa strana è che mentre oggi c'è stata una reazione dell'Onu sulle sue dichiarazioni, non ne ho viste da parte dell'Unione europea. Il problema è che un'UE divisa come oggi non riesce a formare una volontà politica comune; la presidente della Commissione deve mediare e non vuole rompere l'equilibrio. Non dice niente delle interferenze di Trump in Germania, in Gran Bretagna, in Italia. Il sovranismo si ferma all'obbedienza", ha detto ancora Prodi.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Su Starlink, l'accordo col governo gli darebbe in mano tutti i dati che riguardano il nostro Paese. E' il momento che il governo decida se dare in mano ad altri la propria vita". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"Il vantaggio di Musk è che ha a disposizione una tecnologia pronta e potente. Non so se il governo firmerà, ma queste cose vanno fatte con una prudenza enorme e garanzie che non credo il nostro esecutivo sia in grado di ottenere. Così come sembrano essere le cose, io non firmerei. E l'idea che il rappresentante di uno Stato come è Musk si impadronisca di una realtà fondamentale di un altro Paese è un rischio enorme per la democrazia", ha aggiunto Prodi.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Su Belloni, posso dire che è proprio brava, una servitrice dello Stato leale nei confronti del Paese e con capacità personali. Non ho la minima idea se verrà eventualmente coinvolta nelle istituzioni europee. Lei ha detto di no, ma queste cose devono maturare nel tempo. Ha le energie e le capacità, vedremo". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
Roma, 8 gen (Adnkronos) - "Esprimo la mia felicità vera per il ritorno di Sala, la stessa che ho provato quando liberammo il giornalista di Repubblica Daniele Mastrogiacomo in condizioni analoghe". Lo ha detto Romano Prodi a Otto e mezzo, su La7.
"Queste contrattazioni sono sempre molto complesse. Certamente c'è stato da Trump una specie di permesso o di tacito consenso. A differenza della mia esperienza, noi gioimmo tutti insieme, col ministro degli Esteri, il governo e anche i servizi. C'era anche la dottoressa Belloni, che aveva organizzato la liberazione; oggi è sembrato un evento molto solitario, solo della Meloni", ha aggiunto Prodi.