Il magistrato ed ex sottosegretario alla Giustizia Cosimo Ferri è stato assolto dall’accusa di “condotta gravemente scorretta” per aver accompagnato in almeno due occasioni – tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 – il giudice Amedeo Franco a palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi. Il verdetto è stato emesso martedì dalla Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, dopo che la Cassazione aveva annullato una precedente condanna a due anni di perdita di anzianità. Sulla base di quella sentenza l’assoluzione è stata chiesta in udienza dallo stesso pubblico ministero, l’avvocato generale della Suprema Corte Pasquale Fimiani: “Prendendo atto di questa decisione, e del fatto che gli altri due protagonisti della vicenda”, cioè Franco e Berlusconi, “non ci sono più” e quindi non è possibile riascoltarli, “non possiamo che concludere per l’assoluzione”, ha detto. Richiesta a cui si è associata la difesa di Ferri, già leader della corrente conservatrice di Magistratura indipendente, al momento distaccato presso il ministero di via Arenula (per effetto della legge Cartabia contro le porte girevoli) e membro del Consiglio di presidenza della Giustizia tributaria.
Il giudice Franco, scomparso nel 2019, era stato il relatore in Cassazione del processo sui diritti tv Mediaset, concluso il 1° agosto 2013 con la condanna definitiva dell’ex premier a quattro anni per frode fiscale. Nel corso della prima visita – come emerse nel 2020 da alcuni audio pubblicati dalla stampa di destra – disse a Berlusconi di considerare la decisione “una grave ingiustizia“ e di aver avuto l’impressione che la vicenda fosse stata “guidata dall’alto“. Affermò inoltre che “la sentenza faceva schifo” e di essere andato da lui per “sgravarsi la coscienza”, suggerendo “una malafede” di Antonio Esposito, il presidente del collegio che confermò la condanna. Lo stesso collegio (composto, oltre a Esposito, dai giudici Claudio D’Isa, Ercole Aprile e Giuseppe De Marzo) venne definito “un plotone di esecuzione“, composto da “quattro ultimi arrivati” che “non capivano niente”. Il dissenso rispetto alla decisione, però, non fu mai formalizzato da Franco in camera di consiglio, anche se ne avrebbe avuto la possibilità: anzi, di fronte alla Sezione disciplinare del Csm (in un procedimento aperto a carico di Esposito) il magistrato affermò in seguito di non essersi sentito né condizionato né influenzato.
L’azione disciplinare era stata promossa a maggio 2021 dalla Procura generale della Cassazione. L’incontro tra il giudice e il suo ex imputato, si leggeva nel capo d’accusa, era stato organizzato “al fine di consentire al dr. Franco di rappresentare” a Berlusconi “i supposti contenuti della camera di consiglio, e di concordare le iniziative ritenute opportune, sotto il profilo giudiziario, ad agevolare la posizione giuridica dello stesso dott. Berlusconi”. Secondo l’accusa, durante l’incontro Ferri “avvalorava l’accusa rivolta dal dott. Franco al presidente del collegio (Esposito, ndr) di nutrire un atteggiamento di prevenzione nei confronti dell’imputato Berlusconi, mostrando assenso alle notizie riferite da quest’ultimo”. Non solo: “Nel corso del secondo colloquio, il dr. Ferri confermava la imminente candidatura al Csm di uno dei componenti, il dr. Ercole Aprile, evidenziandone l’appartenenza a Magistratura democratica (storico gruppo di sinistra, ndr), così sostenendo e confortando (…) il convincimento del predetto di essere vittima di un complotto ordito da una parte politico-istituzionale e di una corrente della magistratura”.
A novembre 2022 la tesi della Procura era stata accolta dalla Sezione disciplinare del precedente Csm, che aveva inflitto all’ex politico i due anni di perdita di anzianità. Nel settembre successivo, però, le Sezioni unite civili della Cassazione hanno annullato la condanna, sostenendo – tra l’altro – che la sentenza peccasse di illogicità nell’affermare che Ferri non potesse non sapere delle intenzioni di Franco quando organizzò il primo colloquio. L’ex sottosegretario, hanno scritto i giudici, poteva forse “immaginare che il collega Franco intendesse parlare al sen. Berlusconi della sentenza dell’agosto 2013 in senso critico (…) ma non certamente in termini denigratori nei confronti degli altri magistrati del collegio”. Inoltre, secondo le Sezioni unite, non c’è la prova che l’incolpato abbia preso parte alla conversazione “in alcuni suoi passaggi chiave, ossia quando il dott. Franco disse a Berlusconi che il presidente del Collegio era fortemente prevenuto contro di lui, e che gli altri componenti del collegio erano da considerare come un plotone di esecuzione”. La difesa infatti sostiene, sulla base di alcuni “rumori di passi” udibili nell’audio, che Ferri si sia allontanato per circa 12 minuti dalla stanza, una circostanza che la Sezione disciplinare non è riuscita a smentire nella propria decisione. Infine, per i supremi giudici il silenzio di Ferri di fronte al dialogo tra il magistrato e l’ex premier non può essere interpretato come un’implicita adesione alla tesi del complotto: “Il comportamento di chi tace, di regola, non può essere inteso né come assenso e condivisione né come dissenso, pertanto, non dà luogo ad alcuna conseguenza giuridica, salvo che non vi sia un obbligo di parlare (o di esplicitare il dissenso) imposto dalla legge”. Argomentazioni che di fatto hanno costretto il Csm a pronunciarsi per l’assoluzione.