Papa Francesco ha cancellato il tema dei preti sposati dall’agenda del Sinodo mondiale dei vescovi del prossimo ottobre. La conferma è venuta, en passant, nel corso della recente presentazione di due nuovi documenti preparatori alla seconda sessione autunnale del Sinodo. Il tema “non è mai stato messo sul tavolo” durante l’assemblea del 2023, ha dichiarato il segretario generale del Sinodo cardinale Mario Grech in conferenza stampa.
E’ vero. In quanto tale la questione del celibato del clero latino nella Chiesa cattolica non è stata messa all’ordine del giorno. Ma durante le settimane di dibattito della prima sessione del Sinodo mondiale dei vescovi il tema di eccezioni all’obbligo celibatario in situazioni particolari è stato discusso e a riguardo si è anche votato. Senza mettere in discussione il valore del celibato, in uno dei paragrafi del documento relativo alle votazioni finali della sessione del 2023 si poneva la domanda se l’obbligo del celibato dovesse necessariamente valere in situazioni dove i “contesti ecclesiali e culturali lo rendono più difficile”. La conclusione, su cui si è votato, si esprimeva così: “Si tratta di un tema non nuovo, che richiede di essere ulteriormente ripreso”. Conclusione approvata con 291 Sì e 55 No. La relazione finale della sessione 2023 non menzionava più il tema, ma in nessun momento è stata presa la decisione precisa di non ritenerlo degno di approfondimento.
Ora appare evidente che il pontefice non vuole sentirne parlare. La questione solleva un interrogativo sul modo con cui questo Sinodo è organizzato. Un Sinodo importante perché dedicato al tema della “sinodalità”, cioè lo spirito collegiale e partecipativo che dovrebbe animare la Chiesa del XXI secolo. E questo è l’obiettivo di papa Francesco.
La maniera con cui la prima sessione del Sinodo nel 2023 è stata condotta si è tuttavia caratterizzata per un forte centralismo e verticismo. Il dibattito assembleare è stato fortemente limitato, i nomi di chi è intervenuto non sono stati resi noti (impedendo ai fedeli di sapere chi dice cosa), la discussione è stata organizzata suddividendo i partecipanti in tavoli di 10-12 persone, che cambiavano di fase in fase: una strutturazione su cui l’assemblea sinodale non si è mai espressa. Le conclusioni intermedie a cui si perveniva nel dibattito così spezzettato non sono state pubblicate.
Giorni fa è stato reso noto che il pontefice ha indicato dieci tematiche da approfondire, scaturite da una sua scelta insindacabile senza essere mai offerte alla discussione dell’assemblea. Per fare un esempio concreto: si approfondirà il tema del diaconato femminile (come chiesto dall’assemblea sinodale del 2023) e non quello dell’eventualità di ordinare uomini sposati (come suggerito dalla medesima assemblea). In proposto va ricordato che il tema del clero sposato, da autorizzare in situazioni di emergenza, non è l’ossessione di qualche gruppo di pressione ma è una richiesta avanzata ufficialmente al pontefice da un consesso ecclesiale autorevole: il Sinodo dei vescovi dell’Amazzonia che nel 2019 ha votato a maggioranza di due terzi, secondo tutte le regole ecclesiastiche. Nel concreto il Sinodo amazzonico ha invitato il pontefice a stabilire i criteri per “ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, i quali, pur avendo una famiglia legittimamente costituita e stabile, abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato”. Una posizione chiarissima, che avrebbe meritato di essere discussa al Sinodo mondiale del 2024.
C’è un aspetto paradossale nella gestione di questo Sinodo in due tempi, che rappresenta un evento cruciale del pontificato di Bergoglio. Ai tempi del Concilio Vaticano II la Curia romana aveva già preparato le tematiche e l’impostazione del dibattito conciliare, che doveva ancora cominciare. Fu Giovanni XXIII a permettere ai vescovi di rovesciare questa impostazione centralistica e di determinare con il loro voto i problemi da affrontare e le commissioni per portare avanti il lavoro. Qui invece sembra avvenire l’opposto. Il vertice affronta l’evento come se i vescovi partecipanti (e i laici, uomini e donne, chiamati per la prima vota a partecipare con diritto di voto) fossero degli studenti, che vanno instradati in squadre di lavoro destinate a produrre un risultato in qualche modo prefissato.
Per esempio il pontefice, indicando i dieci temi specifici su cui costituire gruppi di studio, affida alla segreteria generale del sinodo di determinare la loro composizione e di operare in collegamento con i dicasteri della Curia, attivando anche la Commissione teologica internazionale, la Commissione biblica e una nuova commissione dedicata agli aspetti giuridici canonistici. Un apparato complesso che vola al di sopra delle teste dei partecipanti al Sinodo (che peraltro costituirà altri suoi cinque separati gruppi di lavoro). Quello che emerge da questo modo di dirigere centralistico è la volontà di Francesco – nella fase finale del pontificato – di portare la Chiesa ad alcune riforme precise. Per esempio, se si riesce a formare una maggioranza sufficiente di voti in sinodo, l’accesso delle donne al diaconato. Oppure stabilire delle procedure “democratiche” per verificare l’attività di un vescovo. O rivedere la formazione dei futuri sacerdoti ponendo i candidati sempre più a contatto con la vita reale delle comunità cristiane.
Il Sinodo sulla “Chiesa sinodale” è diventato un grande cantiere e Francesco vuole che non si perda nello scontro assembleare tra le opposte fazioni, che da un decennio dilania il mondo cattolico. Questo impegno a produrre risultati si evidenzia anche da una ulteriore novità: i gruppi tematici indicati dal Papa (su missione e ambiente digitale, figura e ministero del vescovo, ruolo dei nunzi, questioni dottrinali, pastorali, etiche ecc.) dovranno lavorare fino a giugno 2025. Dunque oltre il termine del Sinodo mondiale. Mai il termine “work in progress” è stato più appropriato.