Nella serata di ieri 19 marzo, il sindaco di Bari Antonio Decaro ha pubblicato un post su Facebook in cui rende noto di aver ricevuto una telefonata dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Il ministro gli ha comunicato la nomina di una commissione di accesso al Comune di Bari finalizzata a verificare l’ipotesi di scioglimento dell’amministrazione per infiltrazioni mafiose. Come sempre, per l’importanza della città e l’imminente tornata elettorale per le votazioni amministrative del prossimo giugno, si è immediatamente attivata la turbolenza politica che caratterizza ogni minimo sommovimento del percorso istituzionale dei paesi occidentali.

A mio avviso, però, non c’è vicenda giudiziaria o amministrativa in cui si possano fare dichiarazioni senza conoscere i fatti, e in questa vicenda c’è un solo fatto certo: la telefonata del ministro al sindaco. Per il resto sono solo voci che devono restare fuori da ogni seria valutazione. L’unica cosa sensata che si possa fare in una situazione del genere è unire i puntini e guardare tutto sotto una luce tecnica prescindendo dalle contorsioni politiche.

L’articolo 143 del Testo Unico degli Enti Locali spiega che lo scioglimento di un Comune “per mafia” avviene quando nell’attività dell’ente emergano elementi concreti, univoci e rilevanti dell’esistenza di uno di questi quattro presupposti: 1) collegamenti degli amministratori con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare; 2) condizionamento degli amministratori tale da inquinare il buon andamento o l’imparzialità delle amministrazioni; 3) che tale condizionamento possa far venir meno il regolare funzionamento dei servizi delle amministrazioni; 4) che il condizionamento sia tale da arrecare un danno grave allo stato della sicurezza pubblica.

Per verificare l’esistenza di uno o più di questi presupposti, il prefetto nomina una commissione d’indagine composta da tre funzionari della pubblica amministrazione (solitamente un viceprefetto, un funzionario della Polizia di Stato e un ufficiale dei Carabinieri), che esercita l’accesso all’ente ed esamina gli atti che riterrà opportuno. Al termine delle valutazioni della commissione, da concludersi entro massimo sei mesi dall’accesso, il ministro dell’Interno, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, propone lo scioglimento del Comune al Presidente della Repubblica, che lo dispone con decreto immediatamente trasmesso alle Camere.

Il primo punto da chiarire, anche se può sembrare superfluo dirlo, è che la nomina di una commissione di accesso non equivale a “scioglimento”, in quanto rappresenta solo l’atto iniziale di un complesso iter che, in qualche mese, “potrebbe” portare alla cessazione dell’amministrazione in carica. Il secondo punto da evidenziare è che non si tratta di un’attività giudiziaria ma puramente amministrativa, quindi non sottoposta al vaglio della magistratura.

Chiarito ciò, affrontiamo la vicenda che ci interessa. Bari è una bella, ricca e importante città di 350mila abitanti, capoluogo di una regione rilevante come la Puglia. Decaro – targato Pd – è un sindaco molto amato dai concittadini, e non certo per affetto personale, ma per l’azione amministrativa che in dieci anni ha promosso nei confronti della città. Inoltre é presidente dell’Anci, l’Associazione dei Comuni Italiani. Bari però è anche una città in cui alligna una criminalità organizzata importante, formata da varie bande che si spartiscono il territorio cittadino e il cui core business è lo spaccio di droga.

Il 26 febbraio scorso, un’operazione della Dda e della questura di Bari ha portato all’arresto di 130 persone per associazione mafiosa e altri reati connessi. Fra gli arrestati, c’era anche una consigliera comunale eletta con una lista di centrodestra, poi però passata alla maggioranza, Maria Carmen Lorusso. Probabilmente, vista la cronologia degli eventi, potrebbe essere stata questa operazione a far scattare la verifica sull’esistenza di eventuali presupposti per lo scioglimento dell’amministrazione comunale.

Di solito, l’accesso al Comune avviene con la presentazione senza preavviso al sindaco della commissione, invece nel suo post Decaro dice che il ministro dell’Interno lo ha avvisato di quanto sta per accadere (mentre scrivo non si sa se l’accesso ci sia già stato). Si è trattato di un atto di cortesia istituzionale del ministro, nella consapevolezza che la notizia avrebbe provocato – come poi è successo – un polverone politico? Forse, non possiamo saperlo. Le reali intenzioni dei nostri gesti sono nascoste nella mente di ognuno di noi.

Poi c’è la parte politica della vicenda. Nel post, Decaro definisce la telefonata di Piantedosi “un atto di guerra nei confronti della città di Bari”, sostenuto in questo dal Pd. La destra parla di “atto dovuto” a causa dell’arresto, con un’imputazione pesante, della consigliera comunale di cui si è detto.

Come ho premesso all’inizio, però, queste sono cose che non possiamo sapere. Ciò che invece possiamo affermare con consapevolezza è che i funzionari che eseguiranno l’accesso esamineranno le carte con rigore e rispettando la serietà e l’imparzialità del complesso compito loro affidato, valutando al termine se proporre o meno l’atto di scioglimento. In queste delicate attività istituzionali non esistono pressioni politiche, e anche se vi fossero sarebbero respinte al mittente. Checché se ne dica, il nostro apparato statale è rigoroso e distante dall’agone politico.

In conclusione, l’accesso al Comune di Bari è certamente una scelta impegnativa, ed è comprensibile lo sconcerto del sindaco Decaro. Ma se non saranno individuati condizionamenti mafiosi, tutto ciò potrebbe anche trasformarsi in un bonus per lui. Come sempre, perciò, l’invito è di mettere da parte parole e battaglie politiche, e aspettare invece che si accertino i fatti, perché solo avendo in mano qualcosa di concreto si potrà parlare con cognizione di causa. È vero, nel 2021 è stato sciolto per infiltrazioni mafiose un altro importante capoluogo pugliese, Foggia. Ma lì è un’altra storia.

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