Quando un bambino varca per la prima volta la soglia di un carcere, lui e la sua famiglia devono essere preparati. Con l’obiettivo di tracciare un percorso che attenui il più possibile l’impatto iniziale con l’istituto penitenziario, il 20 marzo è stato siglato il primo protocollo sui figli di persone detenute. A firmarlo, il Tribunale di Milano e l’associazione Bambinisenzasbarre, che dieci anni fa ha introdotto in Italia la Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti, presa a modello per redigere le Raccomandazioni del Consiglio d’Europa sullo stesso tema, approvate nel 2018 da 47 Stati membri. Il principio fondamentale su cui si basano entrambe le carte è sancito dall’articolo nove della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Crc) con cui nel 1989 gli Stati si sono impegnati a mantenere la relazione con entrambi i genitori “su base regolare, a meno che ciò non sia contrario all’interesse superiore del minore”, anche nel caso di una carcerazione.

Sono centomila all’anno i bambini che entrano nei penitenziari d’Italia per colloqui periodici con un genitore detenuto. Nelle carceri di grandi dimensioni, come le tre milanesi (Bollate, Opera, San Vittore), circa 3600 ci sono andati almeno una volta all’anno e di solito per incontri settimanali. Ma è una stima a ribasso, perché non esistono dati certi e che non quantifica la situazione più complessa di vivere ogni giorno con un genitore detenuto.

Con il protocollo di Milano, alle linee guida che già esistono si aggiunge un pezzo in più. Si pongono cioè alcuni punti fermi alla gestione del periodo di attesa di giudizio, quello più delicato e privo di tempi definiti. “La carcerazione spesso avviene all’improvviso – spiega a ilfattoquotidiano.it Lia Sacerdote, presidente dell’associazione Bambinisenzasbarre e promotrice del documento – l’impatto per l’infanzia è forte. Lì inizia tutto: la separazione dai genitori, l’assenza di informazioni, un trauma per tutta la famiglia che può durare anni”. L’idea di siglare un patto con Palazzo di Giustizia nasce proprio dalla necessità di intervenire nelle ore successive all’arresto, in modo da alleviare il senso di incertezza e di ansia che si genera nelle famiglie e che è amplificato dalla mancanza di comunicazioni.

Il Tribunale è la prima interfaccia dei parenti di detenuti che devono ottenere un permesso di visita, per questo è protagonista il foro di Milano con il presidente Fabio Roia. All’iniziativa hanno aderito anche il procuratore di Milano Marcello Viola, i tre istituti penitenziari milanesi, il carcere di Monza e l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Carla Garlatti.

Gli articoli cardine del protocollo stabiliscono da un lato che “per raggiungere tempestivamente le famiglie prima che i figli minorenni accedano a un istituto penitenziario è raccomandato informare dell’esistenza di percorsi specialistici di consulenza e accompagnamento al primo ingresso in carcere senza oneri per le famiglie”, dall’altro, che “le famiglie che intendono attivare il percorso di consulenza possono rivolgersi all’associazione Bambinisenzasbarre tramite la linea telefonica dedicata”.

Il focus dell’intesa resta sui diritti dei minori, perché sulle loro vite peserà sempre il ricordo del primo ingresso in un istituto di pena. “Di solito gli adulti non sono in grado di occuparsi nell’immediato dei minori coinvolti – spiega Sacerdote – Si trovano impegnati ad affrontare gli aspetti legali della vicenda giudiziaria, e il problema dei figli viene posticipato”. La maggior parte delle volte, succede che i parenti inizino ad andare ai colloqui con i familiari detenuti da soli, che inventino per i bimbi un diversivo, come una lunga trasferta di lavoro o l’assenza per un viaggio all’estero anziché spiegare come stanno le cose. Soluzioni che rimandano il momento di presa di consapevolezza del bambino. “Dopo un’esperienza ventennale – dice la presidente di Bambinisenzasbarre – abbiamo capito che spesso c’è da parte dei genitori un senso di vergogna che spinge a non voler rivelare cos’è il carcere. Si racconta qualsiasi cosa pur di non dire la verità. Invece gli adulti devono sapere che è importante fornire ai bambini tutte le informazioni corrette e noi cerchiamo di aiutarli a farlo nel modo giusto”. In supporto ai più grandi sarà il Telefono giallo, un servizio telefonico gratuito di helpline a cui già da anni i parenti possono rivolgersi per gestire la separazione di un bambino dal proprio genitore nella fase dell’arresto o della detenzione. “Nell’infanzia – spiega Sacerdote – si sta bene o male a seconda che gli adulti stiano bene o male. Il nostro intervento è sui genitori per focalizzarci sui figli”.

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