A pensarci bene, perché il calcio dovrebbe essere migliore della società in cui vive? Perché il mondo dentro lo stadio dovrebbe essere diverso da quello fuori? Il caso Acerbi-Juan Jesus è in fondo lo specchio di una realtà molto più ampia. Il celebre etnologo francese Marcel Mauss coniò l’espressione “fatto sociale totale”, per indicare quegli eventi dalla cui lettura si possono comprendere molti altri aspetti di una società.
Non si deve mai generalizzare, mai cadere nella trappola del “sono tutti così”, in ogni contesto ci sono profonde diversità, ma in un Paese dove ministri della Repubblica parlano di “sostituzione etnica”, propongono classi differenziate per gli stranieri, dove nessuno prende le distanze da quel fascismo che produsse leggi razziali, non stupisce che un giovane sia vittima di pregiudizi di tale tipo. Dico vittima, perché è Acerbi a risultare succube dei suoi pregiudizi e persino delle patetiche giustificazioni di chi tenta di difenderlo, ripetendo che è un “bravo ragazzo”.
“Chi parla male, pensa male” diceva Nanni Moretti in Palombella rossa, e se uno da del “negro” a un avversario è perché pensa che quello sia l’insulto giusto da rivolgergli. Non l’insulto, che possiamo anche comprendere (non giustificare) che avrebbe rivolto a un avversario “bianco”. “Il razzismo finirà quando potremo dire che ci sono neri stronzi come i bianchi” ha scritto Michele Serra, quando useremo lo stesso linguaggio per tutti e soprattutto parleremmo delle loro scelte, non di un dato naturale, che non dipende da loro, come il colore della pelle.
Il calcio, dunque, amplifica solo ciò che già accade, un problema non risolto, anzi negato ufficialmente, ma alimentato a voce bassa oppure sminuito: “in fondo cosa vuoi che sia!”.
Ribadisco, no bisogna generalizzare, non tutti i calciatori sono così, basti pensare a Lilian Thuram, autore di diversi libri contro il razzismo e a suo figlio Markus, il primo a essersi inginocchiato in Europa, così come non tutti i tifosi sono razzisti. A rendere più paradossale il tutto è quel “Keep racism out” che i calciatori portavano scritto sulla maglia, che la dice lunga sull’utilità di certe campagne fatte solo di slogan.
Il razzismo si vince con l’educazione, la conoscenza e con delle sanzioni esemplari. Attendiamo un arbitro coraggioso, capace di sfidare il sistema e interrompere una partita e dei calciatori altrettanto coraggiosi da uscire tutti dal campo di fronte a episodi come questi.