Ilfattoquotidiano.it ha chiesto a due sondaggisti – Antonio Noto e Roberto Weber – quali effetti può avere sui cittadini la prospettiva di una “preparazione militare-civile rafforzata”, messa per iscritto dai 27 Stati membri nelle conclusioni del Consiglio Ue
Un coinvolgimento diretto dell’Ue nella guerra tra Mosca e Kiev? Rappresenta il peggior timore degli italiani, e ipotizzarlo raffredderà ancora di più la partecipazione alla causa ucraina. Mentre gli appelli pacifisti di Papa Francesco, ignorati e derisi da media e politica, interpretano il sentimento della maggior parte dei cittadini. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto a due sondaggisti quali effetti può avere sull’opinione pubblica la prospettiva di una “preparazione militare-civile rafforzata” contro la minaccia russa, messa per iscritto dai leader dei 27 Stati membri nelle conclusioni del Consiglio europeo in corso a Bruxelles. Un documento che incarna il culmine di una lunga escalation sul piano internazionale: nelle scorse settimane il presidente francese Emmanuel Macron ha ventilato un invio di truppe Nato in Ucraina, mentre in Germania si pensa a ripristinare i vecchi rifugi antiaerei. Insomma, l’incubo di una guerra in casa nostra assume contorni sempre più realistici e spaventosi. “Questa presa di posizione dell’Ue corrisponde esattamente al timore degli italiani. Prima era una paura in gran parte immaginaria, con una comunicazione del genere non lo è più: chi ci governa ammette che la possibilità esiste”, riassume Antonio Noto, direttore dell’istituto Noto Sondaggi. L’ansia dei cittadini, aggiunge, spiega anche il drastico calo del consenso al supporto militare all’Ucraina: “Ormai è da più di un anno e mezzo che la maggioranza degli interpellati è stabilmente contraria all’invio di armi: attualmente siamo al 53%, contro un 30% di favorevoli. Ma non perchè all’improvviso siano diventati tutti pacifisti: perché hanno paura che possa trasformarsi in un boomerang, coinvolgendo l’Italia, anche territorialmente, in un perimetro di guerra”.
In questo senso, ricorda il sondaggista, l’insofferenza della popolazione “ha iniziato a manifestarsi dopo cinque o sei mesi dall’invasione della Russia”. E il motivo è banale: “All’inizio si pensava che armare Kiev servisse a far finire la guerra. Ma ormai sono passati due anni e la guerra c’è ancora. E dopo un po’ i nostri connazionali hanno iniziato ad avere paura che la Russia attaccasse un Paese Nato, o addirittura direttamente l’Italia”. Per questo, spiega, la svolta bellicista dei leader Ue “avrà un impatto disastroso sulla solidarietà alla causa ucraina: gli italiani non sono filorussi, ma temono per la propria pelle. E mentre prima si diceva di armare Kiev per far ritirare Mosca, ora si ammette davanti ai cittadini che l’impegno militare potrà mettere in pericolo la loro incolumità“. Nel panorama internazionale l’unico leader pacifista sembra ormai Papa Francesco, criticatissimo per aver chiesto all’Ucraina di avere il “coraggio di alzare bandiera bianca e negoziare”. Ma in questo momento, chiarisce Noto, “l’opinione del Papa coincide più o meno con quella degli italiani: contro l’invio delle armi e per l’avvio di un processo di pace. La politica non solo ignora il Papa, ma non considera minimamente la pace. Su questo tema è distante ormai da anni dall’opinione pubblica“. Peraltro, sottolinea, “mentre sulla crisi in corso a Gaza esistono dei tavoli di negoziato, sulla guerra ucraina non c’è nulla: questo è poco rassicurante per i cittadini, che sentono la mancanza di un mediatore e sono a favore di un compromesso in cui Kiev rinunci a qualcosa”.
Sulla stessa linea l’interpretazione offerta da Roberto Weber, fondatore dell’istituto Ixé. “Sono rimasto stupefatto dal repentino cambio di atteggiamento sulla guerra in Ucraina. All’inizio avevamo un 60% circa di italiani a favore dell’invio di armi, poi c’è stato un rovesciamento: nell’ultimo anno l’appoggio è andato via via in calando e ora restiamo con un 35% di opinione pubblica favorevole, mentre il 65% è contrario”, spiega. Del fronte pacifista, nota però, “colpisce la totale passività: questo 65% non si mobilita, non scende in piazza e quindi non incide”. Un disinteresse che a Weber ricorda addirittura “quello degli anni Trenta del Novecento”. La prospettiva sempre più concreta di un conflitto non sarà in grado di svegliare l’opinione pubblica? “Sono pessimista, perché non c’è un’offerta politica carismatica capace di coagulare questo movimento. Nella prima Repubblica tutti i grandi partiti, dalla Dc al Pci al Psi, avevano una forte cultura pacifista: quella dimensione si è smarrita, anche perché gli elettori non hanno più un ricordo diretto della guerra. Quando sono nato io, nel ’52, quel ricordo era ancora vivo e definiva un certo tipo di coscienza comune, che andava al di là della linea politica dei singoli. Guardi come hanno trattato il Papa, che non è mica un comunista…”. Ecco, appunto: perché questo disprezzo nei confronti del pontefice? La spiegazione di Weber è caustica: “Ho fatto tanti anni in tv e nei salotti ci sono sempre le stesse facce: un universo ristretto, molto autoreferenziale, fatto di giornalisti che non vanno in giro e non parlano mai con la gente, frustrati per aver perso il ruolo di centralità. Io penso invece che la posizione del Papa sia molto vicina a quella della cittadinanza”.