“Quando entrai nella scuola di danza dell’Opéra di Parigi, ero l’unica italiana e le madri delle altre danzatrici mi chiamavano ‘la petite mafieuse’, ovvero la piccola mafiosa“. A raccontarlo è Eleonora Abbagnato, la ballerina palermitana oggi direttrice del Corpo di ballo del Teatro dell’Opera di Roma che si è guadagnata il titolo di Étoile all’Opéra di Parigi nel 2013, diventando la prima donna italiana a ricoprire questa prestigiosa posizione. La sua storia è un inno alla tenacia, al sacrificio e alla determinazione, ripercorsa ora nel docu-film “Eleonora Abbagnato. Una stella che danza”, diretto da Irish Braschi e prodotto da Matteo Levi, in onda su Rai3 il 29 marzo.
Fin da quando mise piede nella scuola di danza dell’Opéra di Parigi, Abbagnato dovette affrontare pregiudizi e sfide, essendo l’unica italiana in mezzo a colleghi francesi: in un’intervista al Corriere della Sera, ricorda appunto con una nota di nostalgia come veniva chiamata “la petite mafieuse” dalle madri delle altre danzatrici, un appellativo che allora non colse nella sua pienezza di significato. “Oggi sarebbe un insulto, all’epoca non mi rendevo conto del peso della parola mafiosa e ci ridevo sopra… avevo solo 14 anni”, confessa, sottolineando come il pregiudizio legato alla sua origine siciliana l’abbia seguita anche dopo il suo successo, al punto da ricevere lettere di minaccia: “Quando ero Étoile, ricevetti persino una lettera anonima, dove c’era scritto: liberiamoci della mafiosa siciliana”.
Nonostante queste avversità, Abbagnato non ha mai perso la sua passione e il suo impegno verso la danza, diventando non solo una figura di spicco nel mondo del balletto ma anche un modello di resilienza e forza. Il prezzo del successo, tuttavia, non è stato esente da sacrifici. Al Corriere, Abbagnato parla apertamente della solitudine e della lontananza dal suo “guscio di affetti”, aspetti dolorosi ma necessari per raggiungere i suoi obiettivi: “La competizione è naturale nel nostro mestiere, per confrontarsi con gli altri e crearti una tua dimensione”, spiega, sottolineando la solitudine come prezzo del successo, “dolorosa, ma necessaria e, in certi casi, persino esaltante”.