L’accordo raggiunto dai 27 paesi Ue per utilizzare i proventi provenienti dagli asset russi congelati non piace a nessuno. Non alla Russia, naturalmente, ma neppure agli Stati Uniti e alle istituzioni finanziarie europee. Si tratta dell’idea di usare gli interessi che maturano sui circa 190 miliardi di euro di Mosca, custoditi da Euroclear, per finanziare l’Ucraina. Si tratta di circa 3 miliardi di euro (il 90% da destinare all’acquisto di armi, il 10% a pagare le spese per futuri contenziosi) all’anno, una cifra poco più che simbolica per quanto riguarda le sorti del conflitto. Il Cremlino ha fatto sapere che se l’Unione europea deciderà di espropriare i proventi dai capitali russi ciò avrà “conseguenze molto serie per coloro che hanno preso tali decisioni e per coloro che le applicano”. Ma il vero problema è un altro. Questa mossa creerebbe un precedente pericoloso per la fiducia nel sistema euro, come hanno rimarcato anche la Banca centrale europea e la stessa Euroclear. Mosca ha scelto di tenere i soldi in Europa perché li riteneva in questo modo al sicuro. Se questo presupposto si rivelasse errato quale altro paese oggetto di potenzialmente future sanzioni farebbe lo stesso? Il riferimento è innanzitutto alla Cina, ma non solo. Per le stesse ragioni non convince neppure l’ipotesi di bond emessi dall’Ucraina e garantiti da asset russi in caso di default. In sostanza è il medesimo piano, soltanto con effetti rimandati nel tempo.

Washington preme per una soluzione diversa, più radicale e, da un certo punto di vista, più sensata. Se un danno deve essere fatto e un rischio preso, che lo siano per ottenere un “premio” significativo. Dunque sequestrando non gli interessi ma direttamente il patrimonio, mettendo bene in chiaro che si tratta di evento unico ed irripetibile. Tuttavia anche le basi per questo intervento radicale non sono solidissime. Ci sono molte perplessità che un’azione di questo tipo sia giustificabile in base al diritto internazionale. Quei soldi depositati in Europa sono in fondo ciò che Mosca ha incassato vendendoci gas e petrolio in base a regolari accordi. Le forniture di idrocarburi russi all’Europa sono diminuite ma non cessate.

“Non ci facciamo intimidire dalla Russia. I proventi degli asset russi andranno all’Ucraina in quanto vittima dell’aggressione di Mosca”, ha ribadito il presidente del Consiglio Europeo Charles Michel al termine del vertice Ue. “La Russia deve pagare per quello che sta facendo e per questo abbiamo preso la nostra decisione” sull‘utilizzo degli asset, ha poi aggiunto von der Leyen. Ma le stesse banche europee, ossia i soggetti che più ne sopporterebbero le conseguenze, non sembrano condividere questa impostazione.

Reuters dà conto di come alcuni istituti stiano facendo pressioni per bloccare il piano Ue. Le banche temono di poter essere ritenute responsabili da Mosca se coinvolte nell’operazione e che il piano possa poi essere esteso alle attività nei conti detenuti per individui e aziende sanzionate. Fonti interpellate dall’agenzia sottolineano altresì il rischio che le proposte porteranno ad una erosione della fiducia nel sistema bancario occidentale. Le banche occidentali detengono inoltre miliardi di euro, sterline e dollari in asset posseduti da aziende e individui soggetti a sanzioni. Le leggi dell’UE, dell’Inghilterra e degli Stati Uniti prevedono generalmente il congelamento dei beni ma non la confisca. I beni possono essere confiscati secondo la legge inglese, ma solo se ritenuti proventi di reato. “Se queste proposte di sequestro degli interessi venissero attuate, l’intera architettura legale dovrebbe cambiare”, ha affermato Paul Feldberg, partner e capo della pratica White Collar Defense, Investigations & Compliance di Brown Rudnick a Londra. “Per quanto riguarda le banche, penso che abbiano ragione a preoccuparsi perché abbiamo già assistito a enormi quantità di contenziosi civili in relazione alle sanzioni”, ha affermato Feldberg.

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Europee, non sento parlare di temi fondamentali. A partire dalle disuguaglianze

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