Musulmana non integralista, nata e cresciuta a Gaza (con una parentesi negli Emirati Arabi) si è rifiutata di obbedire ai suoi zii che avevano aderito ad Hamas e di mettere il velo. Venerdì Asmaa Alghoul non è riuscita ad arrivare a Roma in tempo perché sull’autobus, con cui doveva valicare il confine con la Francia, non hanno accettato i documenti dei suoi figli per un disguido. Così alla rassegna letteraria Libri Come ha presentato in videochiamata il suo La ribelle di Gaza, pubblicato da E/O. Un memoir in cui la giornalista palestinese che collabora con la testata basata a Washington Al-Monitor, racconta insieme allo scrittore franco-libanese Sélim Nassib la sua vita fino al 2014, anno in cui ha abbandonato la Striscia per la Francia dopo l’operazione militare israeliana Margine di protezione, in cui rimase uccisa parte della sua famiglia. In quello stesso anno pubblicava un editoriale arrabbiato col titolo Non parlatemi mai più di pace, e nelle bozze del libro scriveva: “Gaza ha solo bisogno di aprirsi al mondo e a vietarlo è l’assedio imposto da Israele, Hamas, al-Fatah ed Egitto”.
Asmaa, questa volta ha assistito dall’estero alla nuova guerra scatenata a Gaza dall’assalto di Hamas del 7 ottobre. È in contatto con i suoi familiari nella Striscia? Ha provato a portarli in Francia?
Asmaa Ashgoul: A Gaza ci sono mio padre e mia sorella, che ha un figlio di 6 mesi. La legge francese mi permetterebbe di far uscire dalla Striscia solo mio padre, ma lui non vuole saperne. Da quando è iniziata la guerra vivo un lungo, interminabile, incubo. Mia sorella mi manda foto di lei con il bambino, ogni volta apro i suoi messaggi come fossero gli ultimi. Passo tutto il giorno sui social a cercare liste con i nomi delle vittime del giorno per cercare se ci sono familiari. Mio padre e mia sorella vivevano a nord di Gaza, dopo l’avvio dell’offensiva si sono spostati al centro per due mesi, ora sono sfollati a sud. Come tutti i gazawi, a ogni trasferimento hanno perso qualcosa o qualcuno. Adesso vivono in una casa, ma nessun luogo è sicuro. L’11 febbraio a Rafah la casa di una mia cugina è stata colpita da un raid israeliano (nello stesso giorno l’Idf ha annunciato di aver liberato due ostaggi, ndr). Sono morti suo marito e i loro due figli, lei era incinta e ha perso il feto.
Il 7 ottobre è stato uno shock terribile, ma adesso la vendetta di Netanyahu e degli estremisti religiosi israeliani che lo sostengono è ancora più terribile. Mi chiedo perché il mondo resti a guardare di fronte a queste decine di migliaia di morti. Spesso penso a quello che è successo con la guerra in Ucraina e penso al doppio standard dell’Occidente. Anche io mi sento dalla parte degli Ucraini, ma i palestinesi sono lasciati soli.
Sélim, nelle ultime pagine (scritte intorno al 2015) Asmaa prevede la fine del dominio di Hamas a Gaza. Dobbiamo constatare che non è andata così, anzi lo scontro si è aggravato.
Sélim Nassib: Né Hamas né Netanyahu vogliono finire questa guerra. I primi perché vivono nella fantasia di ottenere la scomparsa di Israele, il secondo perché, con i suoi alleati, sa benissimo non solo che un minuto dopo il cessate il fuoco sarà costretto a dimettersi e rischierà di andare in prigione, ma soprattutto perché sanno che la pace significa restituire territori ai palestinesi. Hanno ucciso Rabin per non perdere le colonie, hanno finanziato Hamas per lo stesso motivo, perché era il nemico perfetto. Netanyahu e la destra hanno goduto di un grande supporto nella società israeliana e in occidente, ma adesso è significativo che da più parti si cominci a chiedere la fine delle ostilità. Anche da parte di uno degli alleati più stretti di Israele come gli Stati Uniti. Dobbiamo sperare che queste voci prevalgano.
Asmaa, è famoso, e molto discusso, il suo editoriale pubblicato nel 2014 su Al-Monitor subito dopo la fine di Margine di protezione. Si intitolava “Non parlatemi mai più di pace” (Never ask me about peace again) Pensa ancora che non ci sia più spazio per la pace tra Israele e Palestina?
A: No, dovrebbe esserci spazio per la pace. Capisco tutti i palestinesi che pensano di non volere la pace per via di tutto quello che hanno perso. L’ho pensato anche io, quando ho scritto quell’editoriale: una parte della mia famiglia era stata uccisa nella guerra. Ma oggi, quando guardo al quadro generale, vedo chiaramente che questa storia non può finire se non con una pace. Nel 2014 non credevo alla pace. Adesso a volte mi dico che forse quello (la morte dei familiari) fosse il prezzo per avere la pace (piange).
S: Il problema è che servirebbe un elettroshock, soprattutto alla società israeliana. Bisognerebbe che i governi israeliani smettano di disumanizzare i palestinesi. Di sicuro questo non accadrà fintantoché che Netanyahu sarà al governo.
Asmaa, le voci laiche come la sua a Gaza esistono ancora?
A: Sì e sono tante. Basta guardare i social, non c’è bisogno di cercare scrittori o giornalisti come noi. Tantissime persone chiedono la fine della guerra, che si smetta di versare sangue da una parte e dall’altra.
E potranno mai sostituire gli islamisti al potere?
A: Questo non lo so, per ora posso solo dire che ci sono tante persone che vogliono la pace. Ce ne sono anche dal lato di Israele. Prima o poi arriverà il momento in cui dovremo convivere.
I Paesi arabi come si stanno comportando, a suo avviso?
A: Per loro questa guerra è uno show tv. Simpatizzano con la Palestina, ma non vivono il conflitto come una realtà. L’unica cosa concreta che hanno fatto, ma è durata praticamente solo i primi tre mesi, è stata la campagna di boicottaggio contro le aziende con legami con Israele (Starbucks, McDonald’s e altri, ndr). La guerra è diventata routine ormai, per loro come per voi europei. E questo è molto pericoloso. Quante volte avete visto in tv le immagini di un ospedale bombardato, o di case ridotte in macerie? Un crimine ripetuto molte volte diventa abitudine: vi siete abituati tutti. Israele ha scommesso su questo.