All’epoca non era mancate le polemiche pretestuose: qualcuno aveva gridato allo scandalo sostenendo che Comuni e Regioni avrebbero “spiato nei conti correnti dei contribuenti”. In realtà la norma infilata nel decreto Semplificazioni del 2020 si limitava a prevedere che anche gli enti locali potessero accedere alla cosiddetta Anagrafe dei conti correnti, la sezione dell’Anagrafe tributaria in cui sono raccolte le informazioni sui saldi di inizio e fine anno, gli importi annui delle movimentazioni e la giacenza media. Un modo per tentare di rendere più efficiente la riscossione nei casi in cui a gestirla è l’ente locale con o senza il supporto di una società privata: l’obiettivo dell’emendamento di Iv, approvato, era consentire ai funzionari di capire in anticipo se vale la pena avviare azioni di recupero o se sarebbe uno spreco perché il debitore è nullatenente o quasi. Il fatto è che, a quattro anni di distanza, è ancora lettera morta.

Il motivo del ritardo? L’Agenzia delle Entrate fa sapere che l’accesso all’archivio dei rapporti finanziari da parte degli enti locali “presuppone la creazione di un complesso sistema necessario per garantire tutela e sicurezza ai cittadini, vista la particolare sensibilità delle informazioni in esso contenute e la numerosità dei soggetti che potranno accedere alle informazioni relative ai conti correnti delle famiglie e delle imprese”. Tanto più che “l’attività di riscossione dei Comuni viene spesso svolta da soggetti privati”. Quindi? “Sono state svolte attività finalizzate a individuare i tracciati informativi e sicuri canali di trasmissione telematica per assicurare che tutti gli accessi siano preventivamente verificati e monitorati. Con Anci andranno condivise le specifiche organizzative e tecniche per garantire che tutti gli accessi siano effettivamente autorizzati“. Cautele sacrosante, ma – appunto – quella previsione risale al 2020 e lo stato dell’arte è ancora questo.

Non solo: “Il conseguente schema operativo andrà sottoposto alle valutazioni del Garante per la protezione dei dati personali“. Che potrebbe chiedere modifiche, allungando ulteriormente i tempi. Basti pensare che per tradurre in pratica la norma che dava via libera all’incrocio delle banche dati a disposizione dell’Agenzia compresa quella dei rapporti finanziari – previsione inserita nella legge di Bilancio per il 2020 ci sono voluti due anni e mezzo proprio a causa dei rilievi del Garante privacy. Nonostante la lotta all’evasione sia stata inserita tra gli obiettivi di rilevante interesse pubblico che giustificano il trattamento dei dati personali e la limitazione dei diritti degli interessati.

Nulla di fatto, dunque, per quello che ambiva ad essere un ulteriore supporto per la riscossione locale riformata tra 2019 e 2020 introducendo l’immediata esecutività degli accertamenti tributari e degli avvisi di pagamento dopo 60 giorni dalla notifica. La legge di Bilancio per il 2020 aveva fatto un passo in più prevedendo per gli enti locali l’accesso all’anagrafe tributaria, ma non alla parte con le informazioni finanziarie comunicate ogni anno da banche e intermediari.

Mancando l’attuazione, ancora oggi per consultare l’anagrafe dei conti i Comuni che riscuotono “in house” devono seguire l’iter previsto per i privati: richiesta al tribunale o alla Corte d’appello e, una volta ricevuta l’autorizzazione, istanza all’Agenzia delle Entrate che procede per conto dell’ente a fronte del pagamento di un piccolo tributo. Non un bel segnale se l’obiettivo è aiutare i sindaci a recuperare tante piccole entrate – multe, Tari, Imu – preziose per mettere in sicurezza i bilanci e il cui incasso è molto improbabile quando a gestire il credito è Agenzia delle Entrate-Riscossione. Nel quinquennio 2018-2022 il rapporto tra riscosso e affidato per i ruoli di Comuni e Regioni si è fermato sotto il 22%.

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