Sui test psicoattitudinali ai magistrati il governo vuole andare fino in fondo. Come anticipato dal Sole 24 Ore, il Guardasigilli Carlo Nordio ha scelto di accogliere i suggerimenti delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato: col decreto attuativo della riforma dell’ordinamento giudiziario del 2022 (varata dall’ex ministra Marta Cartabia) l’antica ossessione del berlusconismo si trasformerà in legge. “Con decreto del ministro della Giustizia, previa delibera del Consiglio superiore della magistratura, sono nominati esperti qualificati per la verifica dell’idoneità psicoattitudinale allo svolgimento delle funzioni giudiziarie. Le linee di indirizzo e le procedure per lo svolgimento degli accertamenti (…) sono determinati dal Consiglio superiore della magistratura d’intesa con il ministro della Giustizia. La verifica ha luogo dopo il completamento delle prove orali” del concorso, si legge nella bozza finale del provvedimento, che dovrebbe essere discusso nel Consiglio dei ministri di lunedì. Insomma, la legge codifica solo il principio: a decidere i contenuti dei test (e chi ne valuterà i risultati) saranno in un secondo momento, con atti subordinati, il ministero di via Arenula e il Csm, l’organo di autogoverno della magistratura (composto per un terzo da membri laici, cioè eletti dal Parlamento). Ma la strada è tracciata: con ogni probabilità, i futuri aspiranti giudici e pm dovranno sottoporsi a una verifica della loro salute mentale, secondo criteri stabiliti (anche) dal governo. Un progetto che corrisponde a quello contenuto nel Piano di rinascita democratica di Licio Gelli, cioè il programma della loggia eversiva P2. A incoraggiare il Guardasigilli in questo senso, nelle scorse settimane, erano stati la maggioranza e il fu “Terzo polo”, nei pareri obbligatori sullo schema di decreto licenziato dal governo a novembre.
Se lo strappo diventerà realtà, però, il Consiglio dei ministri violerà molto probabilmente la Costituzione: il testo della delega Cartabia, infatti, non lascia alcuno spazio alla previsione dei test accanto al concorso. A ricordarlo è anche l’Associazione nazionale magistrati (l’organismo di rappresentanza delle toghe italiane) in una lunga e durissima nota diffusa dalla Giunta esecutiva centrale: “Alla genericità e alla vaghezza degli annunci dei test per i magistrati, condensati in scarne osservazioni delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, pensavamo, con cauto ottimismo, che il ministro della Giustizia avrebbe risposto con la necessaria razionalità normativa. Pensavamo che, impegnato ad attuare una legge delega che non fa menzione dei test, non avrebbe percorso la strada dell’evidente eccesso di delega. Pensavamo ancora che non gli sarebbe sfuggita la palese violazione della riserva di legge in materia di ordinamento giudiziario e che pertanto non avrebbe indugiato a inserire una norma vaga, priva di reali contenuti regolativi. E invece, il ministro della Giustizia ha frustrato ogni aspettativa di rispetto della cornice costituzionale”, si legge. “Con disinvoltura che disorienta”, prosegue il comunicato, Nordio “ha aggiunto, a un già criticabile schema di decreto legislativo, previsioni del tutto estranee alle indicazioni della delega. Ha previsto i test psicoattitudinali senza dire cosa siano, a cosa servano, come si strutturino, quali le conseguenze di un eventuale risultato negativo, quali le figure professionali che li effettueranno e li valuteranno. Ha soltanto detto che si collocheranno all’esito delle prove scritte e orali, interessando quindi i candidati che avranno superato entrambe“, sottolinea l’Anm.
La conclusione, quindi, è che i nuovi test non saranno “uno strumento di preselezione per l’ammissione al concorso e riduzione della platea degli aspiranti ma, del tutto irragionevolmente, una terza prova. L’ultima prova, che impegnerà quanti avranno superato, anche brillantemente, le prove strettamente intese. Il ministro della Giustizia”, prosegue la nota, “ci aveva anticipato che occorreva accelerare la procedura concorsuale anche per fronteggiare spinte verso forme semplificate di selezione, ma ora scopriamo che le scansioni concorsuali, già lunghe, si vorrebbero, in tempi di Pnrr, ancor più dilatare: forse per rendere del tutto ingovernabile la macchina concorsuale e poter cedere un domani alle suggestioni del reclutamento straordinario?”, scrive l’Anm. Il riferimento è all’ipotesi, fatta filtrare nelle scorse settimane, della previsione di un concorso in magistratura riservato a specifiche categorie (magistrati onorari o avvocati). “Il ministro della Giustizia ha demandato a se stesso, ad un suo decreto che non è certo fonte normativa primaria, la disciplina dei test. Stabilirà lui dunque chi meriterà di indossare la toga di magistrato e chi no! E non basta aggiungere che il decreto sarà emanato previa delibera del Csm per nascondere la contrarietà a Costituzione di questo disegno”, scrive la Giunta dell’Anm. Che conclude: “Lo sconcerto è grande, pari soltanto alla superficialità con cui si ritiene di poter intervenire in materie così delicate, così costituzionalmente sensibili, come l’ordinamento giudiziario”.