L’attenzione sul tipo di tumore della principessa del Galles Kate Middleton ha raggiunto ormai livelli di morbosità, ma almeno ha il merito di porre l’attenzione su un tema che potrebbe essere di particolare utilità per le persone. In un video pubblicato sui canali Instagram della Royal Family, Kate, che ha 42 anni, ha spiegato di essere malata di cancro. La diagnosi è arrivata dopo un intervento chirurgico all’addome affrontato a gennaio. Successivamente ha dichiarato la principessa di aver cominciato la chemioterapia preventiva, un elemento questo che offre anche nuove ipotesi sul tipo di tumore che l’ha colpita. Perché è un trattamento che si effettua in particolari situazioni. Vediamo quali.
A cosa serve la chemio preventiva
La chemioterapia preventiva viene infatti somministrata – e qui arriva la prima notizia positiva – nei casi di tumori potenzialmente guaribili. E nonostante sia una terapia che rappresenta una certa tossicità, viene considerata una sorta di “investimento sul futuro”. Il motivo? Riduce al minimo i rischi di recidiva e, dunque, di ricomparsa della malattia. Lo spiega Massimo Di Maio, presidente eletto dell’Associazione italiana di oncologia medica (Aiom) e direttore dell’Oncologia medica 1 Universitaria all’ospedale Molinette di Torino. In generale, la chemioterapia può essere classificata in 4 categorie: curativa (per eliminare il tumore inducendo la morte delle cellule cancerose); neo-adiuvante (per ridurre il volume del tumore e rendere i trattamenti successivi come chirurgia e radioterapia più efficaci); palliativa (per rallentare la progressione quando il tumore è in stadio avanzato) e adiuvante. Proprio la chemio adiuvante, o preventiva, è quella somministrata alla principessa: “Viene effettuata dopo la chirurgia e/o la radioterapia”, spiega Di Maio, “per distruggere eventuali cellule tumorali ancora in circolo ma non rilevabili alla tac, e ridurre così il rischio che il tumore si ripresenti. Si decide di farla quando ci sono particolari fattori di rischio. Per esempio, nel tumore del colon un fattore di rischio è l’interessamento dei linfonodi, in altri tumori il fattore di rischio è lo stadio iniziale della malattia”.
È un investimento a lungo termine
Si tratta però di un’opzione terapeutica che ha risvolti paradossali e per questo “difficile da comunicare e far accettare al paziente”, come afferma sempre l’oncologo. Perché da un lato la persona sa di aver eliminato il tumore chirurgicamente, per cui non ci sarebbero ragioni apparenti per ricorrere alla chemio; in più sottoporsi al trattamento significa sperimentare effetti collaterali senza un beneficio immediato. D’altra parte, “è un investimento a lungo termine sulla chance di guarigione”, spiega l’esperto. La durata della terapia dipende dal tipo di tumore. Per esempio, in quello del colon da qualche anno si tende a ridurla a 3 mesi per salvaguardare una maggiore qualità di vita, ma dipende dai singoli casi; nel tumore dell’ovaio, invece, la durata è i media di 4 mesi, per citare due tipi di tumori dell’area addominale.
Si fa in assenza di cellule tumorali
La chemioterapia utilizza comunque sempre farmaci che agiscono con un meccanismo citotossico, che va cioè ad “avvelenare” le cellule tumorali: “Dunque, se nei pazienti con malattia avanzata la utilizziamo per distruggere il tumore nel caso ad esempio di metastasi in vari organi, nel caso della terapia adiuvante”, sottolinea Di Maio, “la chemio è somministrata senza sapere se il paziente abbia effettivamente ancora cellule tumorali nell’organismo, perché non rilevabili. Lo facciamo dunque per distruggere un’eventuale malattia residua microscopica ma che potrebbe comunque portare ad una recidiva. Non ci sono garanzie assolute ma si accetta un trattamento comunque tossico per aumentare le possibilità di guarigione. In altre parole, “è una scommessa”, sottolinea l’oncologo, “ma il messaggio positivo è che la chemio preventiva indica una situazione in cui il tumore è eliminabile e il paziente, dunque, potenzialmente guaribile”.