di Stefano De Fazi

Con l’avvicinarsi delle elezioni europee ci sono alcuni temi caldi che hanno assunto un ruolo primario nel dibattito politico. Innanzitutto, la probabile ascesa delle destre che potrebbe portare l’asse della maggioranza, finora costituito da Ppe, Pse e liberali a spostarsi. E’ centrale il tema della gestione dei flussi migratori, con l’Ue che sembra avviata ad adottare il modello italiano dell’esternalizzazione, senza porsi troppi problemi sul rispetto dei diritti umani. Inoltre, tiene banco la questione di quanto e come finanziare la guerra in Ucraina. In questo quadro desolante, voglio segnalare alcuni temi assenti o marginali, che rivestono uguale importanza.

L’obiettivo della convergenza del tenore di vita dei cittadini è stato al centro del progetto di unificazione del mercato europeo. Se è vero che alcuni paesi dell’est hanno in parte ridotto il gap con i più ricchi, è altrettanto indubbio che le disuguaglianze economiche e sociali interne ai paesi siano aumentate. La Commissione europea stima che 95 milioni di persone, ovvero più del 20% della popolazione Ue, siano a rischio povertà o esclusione sociale.

I singoli Stati, non avendo più a disposizione una politica monetaria indipendente e avendo grossi vincoli su quella fiscale, non hanno un gran spazio di manovra per porvi rimedio. Il bilancio dell’Unione europea ammonta a solo l’1% del Pil, non abbastanza per mettere in piedi stabilizzatori automatici che, come avviene all’interno di tutti i paesi, porterebbero risorse dalle aree più ricche a quelle meno sviluppate sotto forma, per esempio, di sussidi alla disoccupazione o aiuti alle imprese che operano in contesti difficili.

Un aumento dell’entità del bilancio Ue potrebbe quindi essere auspicabile per consentire a questo meccanismo fiscale di ridurrebbe le disuguaglianze esistenti e per far cambiare l’opinione diffusa che vede l’Ue lontana dai bisogni dei cittadini comuni. Naturalmente si porrebbe il problema di come finanziarlo. Gli eurobond, che recentemente sono stati tirati in causa per il finanziamento dell’industria bellica, potrebbero essere un mezzo. E’ altrettanto importante recuperare le risorse attraverso un’armonizzazione tributaria. E arrivo qui ad un altro punto quasi del tutto scomparso dal dibattito politico: il dumping fiscale.

Questa pratica portata avanti soprattutto da Paesi Bassi, Irlanda e Lussemburgo, fa perdere importanti risorse ai bilanci di tutti i più grandi paesi e provoca una corsa al ribasso sulla tassazione delle multinazionali. Una pubblicazione del world inequality database stima che la perdita di risorse disponibile per il welfare destinato alla metà più povera della popolazione europea è del 20%. Correggere questa stortura e riappropriarsi di risorse da utilizzare per iniziative di utilità sociale è fondamentale.

Maggiori entrate a bilancio Ue renderebbero necessario democratizzare il processo decisionale sul loro utilizzo. Andrebbero quindi aumentate le materie in cui il Parlamento europeo ha competenza esclusiva; in modo da diminuire le decisioni prese dai consigli, dove inevitabilmente si arriva a contrattazioni tra interessi nazionali, in cui chi detiene un potere negoziale maggiore impone il proprio volere. Anche il votare direttamente partiti europei, invece di liste nazionali che seguono le dinamiche politiche domestiche e tra l’altro spesso non portano avanti nessun programma a livello continentale, andrebbe nella stessa direzione.

Tutte le proposte di cambiamento presentate possono scontrarsi contro lo scoglio della mancanza di solidarietà europea. Il politico che difende gli interessi nazionali potrebbe volerne bloccare ognuna per mantenere i vantaggi attuali del proprio paese. Tuttavia, iniziare a trattare questi temi come prioritari e affermare come gli interessi della collettività debbano prevalere su quelli di alcuni portatori di interesse è l’unico modo per superare i pericolosi squilibri attuali. Siamo molto lontani da tutto ciò.

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