Nel 2023 2,2 milioni di famiglie residenti in Italia (l’8,5% del totale), in cui vivono 5,7 milioni di persone, era in povertà assoluta. È il livello più alto di sempre, quello che emerge dalle stime preliminari dell’Istat diffuse lunedì: l’anno prima la percentuale si era fermata all’8,3% e le persone coinvolte erano 5,6 milioni. I minori coinvolti sono saliti a 1,3 milioni, il 14%. Da notare che il risultato ancora non sconta l’abolizione del reddito di cittadinanza, scattata solo nel 2024. Particolarmente preoccupante è l’esplosione della povertà estrema tra i nuclei in cui la persona di riferimento è un lavoratore dipendente: l’incidenza ha toccato il 9,1%, dall’8,3% del 2022, riguardando oltre 944mila famiglie. Segno che è fuori controllo l’emergenza dei bassi salari, complice l’inflazione che falcidia il potere d’acquisto.
L’aumento al Nord e al Centro – La povertà assoluta, nella definizione dell’istituto di statistica, è l’impossibilità di sostenere la spesa necessaria per acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per una vita accettabile. Il lieve aumento rispetto al 2022 dipende interamente dal peggioramento delle condizioni delle famiglie al Nord e al Centro: se infatti nel Sud la quota di nuclei in povertà è scesa dal 10,7 al 10,3%, al Nord è salita dal 7,5 all’8% e al Centro dal 6,4 al 6,8%. Le persone povere al Nord sono aumentate al 9%, dal 7,7% del 2021, al centro sono arrivate all’8% dal 7,5 dell’anno prima.
Più poveri tra i lavoratori – Non solo: colpisce il fatto che, nel confronto con l’anno prima, la povertà sia cresciuta soprattutto tra le famiglie con persona di riferimento occupata – dal 7,7% all’8,2%, il valore più alto dell’intera serie storica – mentre è scesa dal 9 all’8,8% tra quelle con persona di riferimento non occupata. Il motivo? Sono scivolati in povertà ancora più lavoratori dipendenti con salari insufficienti per arrivare a fine mese.
Colpiti giovani e bambini – Ad essere più colpite sono – come sempre – le famiglie più numerose e quelle con figli minori. Drammatico il dato sugli 1,3 milioni di minorenni in povertà assoluta: “Un bambino su 7, il valore più alto degli ultimi 10 anni”, commenta Save the Children, chiedendo “provvedimenti immediati per affrontare l’emergenza e una strategia nazionale per assicurare a tutte le bambine e i bambini e gli adolescenti le stesse opportunità di crescita”. La povertà del resto colpisce sempre più spesso i giovani: nel 2023 valori lievemente più elevati (11,8%) sono stati osservati per i nuclei in cui la persona di riferimento aveva tra i 18 e i 34 anni, seguiti da quelli con “capofamiglia” tra i 35-44 (11,7%), che nel 2022 erano i più a rischio. Gli over 65 (6,2%) restano la fascia di popolazione meno coinvolta.
La spesa al netto dell’inflazione si riduce – Un altro tassello arriva dai dati preliminari sulla spesa media mensile delle famiglie residenti in Italia: nel 2023 è stata di 2.728 euro mensili in valori correnti, +3,9% rispetto ai 2.625 euro dell’anno precedente. Ma è un effetto ottico legato all’inflazione: in termini reali, cioè al netto dell’aumento dei prezzi, si è ridotta dell’1,8%.
Il governo fa spallucce – Il governo intanto continua a ignorare il tema del lavoro povero. Nelle stesse ore in cui l’Istat diffondeva i dati la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parlando dal Molise, ribadiva che “la ricchezza non la crea lo Stato, il lavoro non si crea per decreto, la povertà non si abolisce per decreto. Lo Stato deve mettere aziende e lavoratori nella condizione di lavorare al meglio”. Un ragionamento che cozza con il dilagante fenomeno dei working poor, persone che non superano la soglia di povertà nonostante siano occupate, che induce a interrogarsi sulla qualità dei posti di lavoro creati negli ultimi tempi. L’Italia è del resto, storicamente, uno dei paesi con i salari più bassi dell’area euro e quello in cui le buste paga hanno perso più potere d’acquisto negli ultimi anni a causa dell’inflazione.
Cgil: “Politiche sbagliate” – “Occorre intervenire ripristinando al più presto uno strumento di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito che sia universale, ed è necessario investire nell’infrastrutturazione sociale per rispondere ai bisogni delle persone in condizione di difficoltà con la presa in carico attraverso servizi pubblici”, chiede la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi, secondo cui i numeri diffusi dall’istituto di statistica sono ”preoccupanti e rendono evidente quanto siano sbagliate le politiche del governo” che “non solo ha cancellato il reddito di cittadinanza, facendo dell’Italia l’unico Paese in Europa a non avere più una misura di contrasto della povertà di carattere universale, ma è contro il salario minimo, ha azzerato i fondi per gli affitti e per la morosità incolpevole, e non investe nell’edilizia residenziale pubblica nonostante la situazione abitativa sia una delle maggiori cause di disagio”.
Di dati “drammatici e vergognosi, non degni di un Paese civile”, parla il presidente dell’Unione nazionale consumatori, Massimiliano Dona.