I consiglieri sottolineano che l'organo non si è potuto esprimere sulla norma, infilata in extremis nella bozza di decreto attuativo della riforma Cartabia. Ed evocano un contrasto con la Costituzione. Il togato Mirenda: "Anziché occuparsi dei mali reali della giustizia, il governo si perde in sciocchezze provocatorie"
Aprire una pratica urgente al Consiglio superiore della magistratura sulla previsione dei test psicoattitudinali per gli aspiranti giudici e pm, inserita dal governo nella bozza di decreto attuativo della riforma dell’ordinamento giudiziario. A chiederlo al Comitato di presidenza sono tutti e venti i consiglieri togati di palazzo dei Marescialli, più i due laici Roberto Romboli e Michele Papa, eletti dal Parlamento rispettivamente in quota Pd e Movimento 5 stelle. I membri del Csm ricordano che l’introduzione dei test “non era contemplata” nello schema di decreto legislativo licenziato dall’esecutivo a novembre, ma è stata infilata nella versione finale del testo, attesa martedì in Consiglio dei ministri per l’approvazione. Pertanto – sottolineano – l’organo di autogoverno delle toghe “non ha avuto modo di esprimersi” su questo tema nel parere obbligatorio sul provvedimento, reso appena il 12 marzo scorso. Il blitz del Guardasigilli Carlo Nordio, infatti, è stato deciso solo negli ultimi giorni, accogliendo i suggerimenti arrivati dalle Commissioni Giustizia di Camera e Senato (con due pareri quasi identici votati da maggioranza e renziani). Una mossa ad alto rischio di incostituzionalità: il testo della legge delega (la riforma Cartabia del 2022) non lascia infatti alcuno spazio alla previsione dei test accanto alle “classiche” prove del concorso in magistratura.
Nel documento, i consiglieri ricordano inoltre che “l’articolo 106 della Costituzione prevede quale unico criterio di accesso alla magistratura professionale quello tecnico: “Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso”. L’unicità del suddetto criterio”, scrivono, “sembra chiara ove si consideri la differenza con l’accesso alla pubblica amministrazione, laddove la procedura concorsuale è invece derogabile” in base all’articolo 97 della Carta (“Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”). “Invero, dev’essere ricordato” – prosegue la lettera – “come il governo autonomo della magistratura conosca già reiterate e continue verifiche sull’equilibrio del magistrato che viene sottoposto a valutazione dal momento del suo tirocinio e, successivamente, con intervalli regolari ogni quattro anni”: un meccanismo già adeguato, secondo i firmatari, a garantire il “controllo sull’equilibrio dei singoli (…) in un contesto di salvaguardia dell’indipendenza della magistratura“. La richiesta quindi è di aprire una pratica sull’argomento in Sesta Commissione, competente sulle questioni dell’ordinamento giudiziario e presieduta dal giudice genovese Marcello Basilico.
Il testo, come detto, porta le firme di tutti i consiglieri magistrati: gli indipendenti Roberto Fontana e Andrea Mirenda, Mimma Miele di Magistratura democratica, i progressisti di Area (Marcello Basilico, Francesca Abenavoli, Maurizio Carbone, Genantonio Chiarelli, Antonello Cosentino e Tullio Morello), i moderati di Unità per la Costituzione (Marco Bisogni, Michele Forziati, Antonino Laganà e Roberto D’Auria) e anche i conservatori di Magistratura indipendente, il gruppo che finora si è mostrato più accondiscendente alle scelte del governo (Dario Scaletta, Paola D’Ovidio, Bernadette Nicotra, Edoardo Cilenti, Maria Vittoria Marchianò ed Eligio Paolini). A decidere sull’apertura della pratica sarà il Comitato di presidenza, composto dal vicepresidente del Csm Fabio Pinelli (avvocato eletto in quota Lega) e dai due magistrati al vertice della Corte di Cassazione, la prima presidente Margherita Cassano (Magistratura indipendente) e il procuratore generale Luigi Salvato (Unità per la Costituzione).