Una ventina di passi di distanza. Nell’aula consiliare del Comune di Bari, i parlamentari di centrodestra. Nell’ufficio del sindaco Antonio Decaro, i commissari mandati dal ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Se si siano incontrati non è possibile dirlo, ma che la giornata vissuta a Palazzo di Città sia stata densa e tesa, questo sì. “Operazione verità” è il titolo che i parlamentari pugliesi hanno voluto dare alla loro controreplica, dagli stessi scranni in cui, meno di una settimana fa, fu Decaro a rivolgersi a loro. “Giù le mani da Bari lo diciamo noi a voi”, esordisce il viceministro alla Giustizia, Francesco Paolo Sisto. Per poi aggiungere che “i re sono nudi”, dove i “re” sono il sindaco e al governatore Michele Emiliano.

Il riferimento è alla frase del presidente della Regione, pronunciata dal palco della manifestazione di sabato: “Siamo andati a casa della sorella del boss Capriati”. Per Sisto avrebbe svelato la vera natura del loro agire. Il viceministro manda in diffusione il video della discordia. Lo ferma, analizza ogni singolo dettaglio. Come il gesto di Decaro che indica la sua paura, quando Emiliano ricorda la minaccia della pistola alle spalle ricevuta 20 anni prima dai Capriati, durante i sopralluoghi per l’installazione della Ztl in città vecchia. Manda in play e ferma di nuovo l’immagine mentre Decaro la mima, quella pistola. “Toc toc la verità bussa alla porta”, è il titolo dato a quel video.

“C’è una norma del codice di procedura penale – continua Sisto – che obbliga il pubblico ufficiale in presenza di reati a rivolgersi alla pubblica autorità. E quando si raccomanda un dipendente ad un boss, si chiama ‘concorso esterno in associazione mafiosa’. Qualsiasi pubblico ministero lo sa, anche il Michele Emiliano magistrato lo sa”. Per Sisto quello di andare a casa dei Capriati è un “gesto di ossequio”, è un “trattare la mafia da pari a pari”. Il video – è la sua conclusione – “è un punto di non ritorno”. Marcello Gemmato, sottosegretario alla Sanità, tiene a ripetere che “il centrodestra non ha chiesto lo scioglimento del Comune” perché “non vorremmo mai che l’amministrazione barese fosse sciolta per mafia, sarebbe un’onta per la nostra città”. Ma quello che non accetta è “che i nostri nomi siano accostati a quelli dei clan”.

Si riferisce alla frase conclusiva di Decaro : “Non ho avuto mai paura dei Parisi, dei Capriati, degli Strisciuglio, figurarsi se devo avere paura dei parlamentari di centrodestra”. Per Gemmato tutte frasi che dimostrano il nervosismo del sindaco e che non dovrebbe albergare in chi ha la coscienza a posto. “Non tre commissari avrebbe dovuto volere per il bene della città ma trecento”. È il leghista Davide Bellomo a prendere fra le mani l’ordinanza dei 130 arresti – atti di cui proprio il centrodestra vorrebbe negare la pubblicazione – e a mandare in onda sullo schermo le frasi in cui “a pagina 13 – dice – si parla dell’assunzione di Massimo Parisi alla municipalizzata dei trasporti Amtab e di come in un incontro con altre persone si parlava di come sostenere Decaro alle elezioni per ottenere l’assunzione di Parisi”.

L’accusa, dunque, è di connivenze con la criminalità? “Non intendiamo questo – dicono i parlamentari – ma che ci sia stata culpa in vigilando sì”. Ovvero: non ha vigilato come avrebbe dovuto. Al termine di un’ora e mezza di difesa e attacco, gli esponenti di Forza Italia, Fratelli d’Italia e Lega consegnano le dieci domande per il sindaco Decaro. “Perché non si è reso conto di ciò che accadeva”, “perché non ha convocato un consiglio monotematico per discutere della situazione” e, ancora, “perché sfugge ai controlli preferendo i monologhi davanti al telefonino” e così via. Risposte che Decaro a pochi passi da loro, assicura, arriveranno presto.

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