E’ una Europa debole quella cui scrive il ceo del gruppo Renault e presidente di turno dell’associazione dei costruttori europei (Acea), a nome di un’industria dell’auto sotto stress per “affrontare tutte le sfide tecnologiche e geopolitiche del momento”. Qui la sua lettera aperta, alla vigilia di elezioni che potrebbero cambiare la geografia politica dell’Europa e dopo la decisione presa dal governo comunitario di vietare dal 2035 sul continente la produzione di veicoli con motori endotermici.
All’Europa attuale perché la prossima intenda, Luca de Meo lancia una proposta. Ne sintetizzo il senso a modo mio: siccome le acque non si apriranno per far passare la transizione energetica e anzi da una parte gli Stati Uniti e dall’altra la Cina difendono artificiosamente il mercato a casa loro e spingono l’export nella nostra casa delle libertà, de Meo chiede all’Europa un piano comune di cooperazione tra pubblico e privato per finanziare e regolamentare questo passaggio epocale. Non la solita questua per far vendere qualche macchina elettrica in più ma un progetto condiviso per creare “le condizioni necessarie per la nascita di un vero e proprio ecosistema per la mobilità a basse emissioni di carbonio”.
L’assunto di de Meo è che non si debba tornare indietro sul processo di elettrificazione, cosa che a qualcuno non piacerà. Segue ampia spruzzata di marketing, suo campo largo: il consorzio aeronautico Airbus, la Champions League industriale, lo sport di squadra (peccato grave sia juventino, se non ricordo male). Però il tutto è sensato. Maliziosi suggeriscono: dove andrebbe altrimenti Renault con le sue dimensioni? Forse è vero, ma è più vero quanto si diceva ai tempi del Covid e troppo spesso dimenticato: da solo non si salva nessuno.
L’Europa del Green Deal è fragile, perché il Green Deal non sembra essere un affare per molti politici: stando ai sondaggi, il prezzo da pagare alla transizione energetica è considerato alto e dunque cala il consenso. I Verdi potrebbero addirittura perdere un terzo dei seggi al prossimo parlamento europeo, non so se per incapacità o per colore sbiadito.
In un recente sondaggio, Politico Europe (politico.eu testata fra le più influenti in Europa) non solo segnalava il rischieramento dei politici conservatori in frenata sui temi dell’ambiente (a rischio collusione con il no medievale dell’estrema destra), ma anche quanto è sceso paese per paese fra il 2019 e il 2023 il supporto all’obiettivo zero emissioni di carbonio 2050. Curiosità: in Italia è rimasto uguale nonostante il governo Meloni-Salvini, quest’ultimo meritevole di essere citato da Politico come unico frontman anti-auto elettrica. Facile comunque obiettare che il 2050 è target ininfluente oltre che iperuranio per un politico abituato a misurare il consenso nel day by day.
Il problema maggiore è che l’Europa cui de Meo chiede un tale impegno ha altro per la testa. Non solo è politicamente assente per debolezza nel pieno di due conflitti, ma se davvero si preparasse a un nuovo sforzo finanziario con un’altra governance dopo le elezioni (e non credo a grandi cambiamenti), in cima ai pensieri adesso ha l’industria difesa.
In un’altra vita mi occupavo di questo e non di auto. Il dibattito sulla creazione di una difesa europea è rimasto lì dove l’avevo lasciato: i litigi Nato sul burden sharing, la fuga in avanti dei francesi sempre rientrata, la mancanza di una reale volontà di autonomia politica, i quattrini, la leadership carolingia. Di diverso oggi? Non c’è più la deterrenza, c’è una guerra nel cuore dell’Europa dopo 80 anni, c’è lo spettro di un presidente americano isolazionista come nessuno mai. Non dettagli.
Non entro nelle proposte specifiche della lettera di de Meo (Carblogger.it resta campo neutro come la Svizzera senza i soldi della Svizzera per contributi alla discussione), ma rilevo che a capo dell’Acea c’è un manager dell’industria che riconosce la supremazia della politica. Uno che dimostra di saper parlare il loro linguaggio, anche se finge di sostenere di non fare politica. Attitudine che altri costruttori con analogo peso specifico sul mercato d’Europa non hanno o non dimostrano di avere: né Carlos Tavares di Stellantis né Oliver Blume di Volkswagen. Il primo è un ottimo manager ma scarso in politica, il secondo segue la tradizione tedesca di governare sottobanco a Bruxelles grazie all’influenza del suo sistema paese.
Transizione energetica, il postino non suona sempre due volte. Quanto servirebbe un Jean Monnet: “Les hommes n’acceptent le changement que dans la nécessité et ils ne voient la nécessité que dans la crise”.