Già allora si sapeva bene come il clima terrestre dipendesse in modo sostanziale dal comportamento delle masse oceaniche. Gli oceani sono molto pigri nel rispondere alla evoluzione della composizione dell’aria. Per questo avevo scritto che il mondo reale funziona in modo diverso dagli ipotetici scenari di equilibrio. Primo, le concentrazioni dei gas serra aumentano in modo graduale, anno dopo anno, e non repentinamente, tutte in una volta. Secondo, c’è un altro, formidabile, fattore che ritarda il surriscaldamento: l’inerzia termica dei mari, soprattutto delle masse oceaniche, che costituiscono la memoria del sistema climatico.
Supponiamo di poter applicare, in modo istantaneo, una sollecitazione esterna al sistema climatico (per esempio, aumentare dell’uno per cento la radiazione solare incidente). Come si comporterà il sistema? Certamente, non risponderà istantaneamente: la temperatura inizierà globalmente a crescere, dapprima rapidamente e poi sempre più lentamente, fino a raggiungere un valore prossimo a quello del nuovo stato di equilibrio, che corrisponde al maggior flusso di energia solare. Il sistema si comporta come una motocicletta che reagisce alla rotazione della manetta del gas: la ripresa lenta della moto dipende dal fatto che il mezzo ha un certo peso, ossia è caratterizzato da una certa inerzia di massa (per il sistema climatico, dipende dall’inerzia termica degli oceani).
La stessa situazione si verifica anche quando spingiamo gradualmente l’acceleratore: il veicolo risponde con un certo ritardo (riprende) alle nuove posizioni della manetta che corrispondono a date velocità di regime; e, se togliamo il gas di brutto, la moto tenderà ad accelerare ancora, prima di adeguarsi alla velocità costante di regime, che corrisponde al minimo del motore.
Allora, non c’erano ancora i veicoli elettrici che rispondono subito alla manetta della moto o al pedale dell’acceleratore. In questi giorni, i media alternano l’ansia allo stupore per le temperature degli oceani che stanno toccando livelli record, impressionanti e preoccupanti. Tra il mese di agosto del 2023 e gennaio del 2024, le acque oceaniche di superficie hanno raggiunto la media senza precedenti di 21,1 gradi Celsius. E febbraio 2024 ha detto anche peggio.
Gli oceani fanno il loro mestiere, senza fretta. È una lenta risposta al riscaldamento globale che ha un impatto significativo sulla biodiversità e lo stoccaggio di CO2 da parte del mare. Come afferma Carlo Buontempo del Copernicus Climate Change Service, “per quanto questo possa sembrare notevole, non è davvero sorprendente come il continuo riscaldamento del sistema climatico porti inevitabilmente a nuovi estremi di temperatura. Il clima risponde alle concentrazioni effettive di gas serra nell’atmosfera, quindi, se non riusciamo a stabilizzarli, dovremo inevitabilmente affrontare nuovi record di temperatura globali e le loro conseguenze”.
Non sorprende per nulla. Trent’anni fa, lo sapevamo già. E lo sapevamo da parecchio tempo, dalla fine degli anni 50. Oggi osserviamo da vicino il clima della Terra adagiarsi sulla parte alta della forchetta di scenari ben noti da 30 anni. Erano proiezioni rudimentali condotte senza supercomputer, senza dettagliate mappature digitali, senza intelligenza artificiale. E siamo stupefatti dalla loro (inattesa) precisione.
Assieme a molti giornalisti scientifici, parecchi colleghi potrebbero leggere proficuamente quel vecchio, brutto libretto, Effetto serra: istruzioni per l’uso. All’epoca, fui variamente canzonato, per non dire peggio; e salvaguardato soltanto dalla libertà accademica che oggi vacilla nel vortice dell’università mercatistica. Molti di coloro che sgomitano per attingere ai ricchi fondi pubblici di contrasto al cambiamento climatico sono gli stessi che hanno contributo per anni ad alimentare la caldaia come bravi fuochisti, abusando dell’effetto serra. O i loro diretti eredi.
Se l’umanità innestasse la retromarcia — tornando per incanto alle emissioni di 70 anni fa, magari in seguito a qualche catastrofe bellica — è ragionevole pensare che gli oceani risponderebbero a loro volta in modo positivo. Ma senza fretta: la latenza è almeno trentennale. E alcuni studiosi paventano perfino che gli oceani, dove si conserva il 97 percento dell’acqua della Terra, possano invece accarezzare la soglia di non ritorno.