La battaglia di Julian Assange continua e per il momento non sarà estradato negli Usa, dove rischia fino a 175 anni di carcere. Lo ha deciso l’Alta Corte di Londra che ha dato il via libera all’istanza della difesa del giornalista australiano e cofondatore di WikiLeaks – respinta in primo grado – per un ulteriore, estremo appello ‘limitato’ ad alcuni punti di fronte alla giustizia britannica contro la consegna alle autorità americane.

Gli Stati Uniti danno la caccia ad Assange da quasi 15 anni per aver diffuso documenti riservati del Pentagono e del Dipartimento di Stato contenenti non poche rivelazioni imbarazzanti. Nella sentenza di 66 pagine, inoltre, i giudici hanno anche chiesto al governo di Washington di fornire entro tre settimane ulteriori garanzie sul fatto che, se estradato, i diritti del giornalista accusato di spionaggio saranno rispettati. E, soprattutto, che non rischierà la pena di morte. Il caso è stato aggiornato al 20 maggio.

Lo scorso febbraio, durante un’udienza di due giorni davanti ai giudici l’Alta Corte, Victoria Sharp e Jeremy Johnson, l’avvocato del giornalista Edward Fitzgerald ha dichiarato che le autorità americane stavano cercando di punirlo per “aver esposto la criminalità del governo degli Stati Uniti su una scala senza precedenti”. Il governo Usa ha affermato che le azioni di Assange sono andate oltre il giornalismo, sollecitando, rubando e pubblicando indiscriminatamente documenti governativi riservati che hanno messo in pericolo vite innocenti.

In ballo c’è il destino personale del cofondatore di WikiLeaks, in carcerazione preventiva da 5 anni nel penitenziario londinese di massima sicurezza di Belmarsh. E dal suo futuro dipende anche il destino di una certa idea d’informazione e modello antagonista di giornalismo online. Assange è divenuto una sorta di nemico pubblico numero uno a Washington per essersi permesso di divulgare, a partire dal 2010, circa 700.000 documenti riservatiautentici e non privi di rivelazioni anche su crimini di guerra commessi fra Iraq e Afghanistan – sottratti al Pentagono e al Dipartimento di Stato.

Negli scorsi giorni era emerso che gli Stati Uniti stanno valutando se consentire ad Assange di dichiararsi colpevole di un’accusa meno grave, quella di cattiva gestione di informazioni riservate, aprendo a una possibilità di un accordo che potrebbe portare al suo rilascio dalla prigione britannica, come aveva anticipato il Wall Street Journal. Ma dal team legale del fondatore di Wikileaks era arrivata subito una smentita nella quale sostenevano di non avere alcuna indicazione che portasse a un’idea di risoluzione delle accuse statunitensi.

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