“Si mettano le maiuscole a parole vuote di significato, e, per poco che le circostanze spingano in questa direzione, gli uomini verseranno fiumi di sangue, accumuleranno rovine su rovine, ripetendo queste parole, senza poter mai ottenere effettivamente qualche cosa che a queste parole corrisponda. (…) Il successo si definisce allora esclusivamente attraverso l’annientamento dei gruppi umani che sostengono le parole nemiche. (…) Chiarire le nozioni, screditare le parole intrinsecamente vuote, definire l’uso delle altre attraverso analisi precise, ecco un lavoro che, per quanto strano possa sembrare, potrebbe preservare delle vite umane”.
Mi sono tornate in mente le parole che Simone Weil scriveva in un testo nel 1937 dal titolo Non ricominciamo la guerra di Troia, leggendo il documento che alla vigilia del Consiglio d’Europa del 21 e 22 marzo – ribattezzato “consiglio di guerra” – Charles Michel ha recapitato a molti quotidiani europei (in italiano su La Stampa). Una lettera piena di “maiuscole”, non di un qualsiasi articolista con l’elmetto ma del Presidente dell’organismo di indirizzo delle politiche europee, che conferma e rilancia la svolta bellicista già espressa dalla Commissione e dal Parlamento.
Rileggiamo, dunque – con il compito di chiarificazione indicatoci da Simone Weil – alcuni passaggi di questo testo che vuole segnare un cambio di paradigma, preparando scenari di guerra per il continente che si era dato istituzioni politiche per costruire, invece, un progetto di pace. “La Russia rappresenta una seria minaccia militare per il nostro continente europeo e per la sicurezza globale. Se la risposta della Ue non sarà adeguata e se non forniamo all’Ucraina sostegno necessario per fermare la Russia, saremo i prossimi” scrive Michel, attribuendo al regime di Putin – come da manuale di propaganda bellica – l’intenzionalità autodistruttiva di attaccare paesi Nato, dai quali ormai è circondato.
Ma spiegando subito dopo il vero significato di quelle parole: “Dobbiamo quindi essere pronti a difenderci e passare ad una ‘economia di guerra’”, come se le spese militari dei Paesi Ue aderenti alla Nato non arrivassero già complessivamente a 346 miliardi di euro (dato Enaat aggiornato al 2022), aumentata del 30% in otto anni e già quattro volte maggiore della spesa militare della Russia.
Ciò perché “dobbiamo essere in grado di parlare non solo la lingua della diplomazia, ma anche quella del potere”, aggiunge Michel, senza spiegare quando l’Unione europea abbia messo in campo una proposta diplomatica: quando ha convocato, in quanto organizzazione terza, un tavolo di negoziati? Quando ha avviato una Conferenza internazionale di pace, come chiede inascoltata da due anni la rete Europe for Peace?
L’unica lingua praticata fin dall’inizio è stata quella dell’invio al governo ucraino di armi sempre più distruttive, partecipando attivamente alla dinamica dell’escalation, fino alla “vittoria” – come ribadito dal Consiglio europeo – anziché a quella della de-escalation. Mentre la lingua del “potere” militare, ovvero dell’industria bellica europea e mondiale, ha già visto schizzare in alto i suoi profitti, come certificato dal Sipri: quella italiana, per esempio, ha raggiunto +86% dall’inizio della guerra.
Per rendere definitivo questo passaggio da un’Europa di pace ad una di guerra è necessario, esplicita Michel, mettere in campo una torsione culturale e valoriale: “Sarà necessario che il nostro pensiero compia una transizione radicale e irreversibile verso una forma mentis incentrata sulla sicurezza strategica”. In che cosa si concretizzi questa dichiarazione di ideologia bellicista è ribadito poche righe più avanti: “Il nostro obiettivo dovrebbe essere di raddoppiare entro il 2030 i nostri acquisti dall’industria [bellica] europea”. Che, tradotto, significa tagliare drasticamente gli investimenti per la “sicurezza” sociale dei cittadini europei, trasferirli all’industria di guerra e – contemporaneamente – convincere tutti che la “sicurezza” non la forniscano più sanità, welfare, scuola e università, ma cannoni, carriarmati, navi da guerra e testate nucleari.
Nelle conclusioni di questo manifesto infarcito di “maiuscole”, Charles Michel fornisce la chiave interpretativa dell’intero messaggio: “Questa battaglia richiede una leadership forte per mobilitare i nostri cittadini, le nostre imprese e i nostri governi a favore di un nuovo spirito di sicurezza e di difesa in tutto il continente europeo”. E’ una chiamata alla mobilitazione generale, che si fonda sul principio con il quale chiude: “Se vogliamo la pace, dobbiamo prepararci alla guerra”.
Ancora l’obsoleta formula che dimostra come ai vertici delle istituzioni europee sia insediata una sacca di “pensiero” irrazionale e magico, che abusa della credulità popolare a beneficio dell’esplosione dei profitti del complesso militare-industriale: i governi nel loro insieme non hanno mai speso così tanto per “preparare la guerra” e infatti, inevitabilmente, la guerra dilaga ovunque. Perfino, di nuovo, in Europa.
Il proclama di guerra, sul quale hanno lavorato i capi di governo e di stato nella riunione del Consiglio europeo, prepara davvero una “transizione radicale e irreversibile”: il passaggio alla guerra nucleare. Mentre è necessario andare esattamente nella direzione opposta, passare dal pensiero magico a quello razionale e responsabile, indicato da tempo dai movimenti nonviolenti: se vuoi la pace, prepara la pace.
Intanto, nella sera del secondo giorno di Consiglio europeo “di guerra”, un attentato terroristico in un teatro di Mosca, rivendicato dall’Isis, ha provocato 137 morti innocenti: i pezzi della terza guerra mondiale in corso si saldano sempre più pericolosamente.