Dall’inizio dell’offensiva su Gaza, che ormai ha causato oltre 30.000 vittime, in massima parte civili, il governo di Israele lancia continue e infamanti accuse di antisemitismo ai paesi e alle istituzioni internazionali che vorrebbero interrompere lo sterminio, e portare soccorso alla popolazione palestinese ormai stremata dalla fame. Secondo Netanyahu e i suoi ministri sarebbero antisemiti: l’Onu e il suo Segretario Generale, Antonio Guterres; Amnesty International; il governo del Sud Africa e la Corte Internazionale di Giustizia, che ne ha accolto l’azione legale anziché respingerla; la Corte Penale Internazionale; l’Unrwa; la Croce Rossa Internazionale; e probabilmente anche altri Stati e organizzazioni internazionali che è difficile tenere tutti a mente.
Secondo molte agenzie di demoscopia, il sostegno degli ebrei israeliani a questa propaganda (che in Israele si chiama hasbarà) oscilla tra il 50% e il 75%. In una indagine del Pew Research Center circa la metà degli intervistati era favorevole all’espulsione degli arabi dallo Stato d’Israele e quasi l’80% riteneva che i cittadini di origine ebrea avessero diritto ad un trattamento preferenziale rispetto a quelli di origine araba. I palestinesi residenti a Gaza sono al confronto dei moderati: il 50% di loro sarebbe favorevole al riconoscimento di Israele in cambio della soluzione dei due Stati.
Sul sostegno raccolto dall’hasbarà tra gli ebrei della diaspora le informazioni sono meno precise. L’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane sembra piuttosto incline ad accogliere la propaganda israeliana, ed ha trasmesso ai suoi aderenti un documento (non pubblico), noto soprattutto perché è stato respinto pubblicamente dal gruppo “Voci ebraiche per la pace“. Il meno che si può dire è che nella diaspora le accuse di antisemitismo a chi si oppone allo sterminio della popolazione di Gaza sembrano avere minor seguito.
Non ci sono dubbi sull’esistenza dell’antisemitismo in Europa, ed anche in Italia, ma è importante distinguere le manifestazioni contro Israele, e le richieste di boicottaggio, che configurano azioni politiche contro un governo e non attacchi razzistici contro un popolo, dagli episodi genuinamente antisemitici, che possono includere i deprecabili casi di effettivo impedimento di conferenze (Molinari, Parenzo) e il danneggiamento di pietre d’inciampo o altri monumenti commemorativi. Di fatto in Israele e in alcuni paesi europei sembrano più gravi e frequenti le manifestazioni violente contro gli ebrei critici nei confronti d’Israele: ad esempio il regista ebreo israeliano Yuval Abraham, nella cui famiglia si contano molte vittime della Shoah, ha denunciato di aver ricevuto minacce di morte in Germania e in Israele per il suo film No other land sulla discriminazione che Israele mette in atto contro i palestinesi.
L’uso continuo e ripetuto dell’infamante accusa di antisemitismo, rivolto praticamente a tutto il mondo non soltanto dal governo d’Israele, ma anche da alcune comunità della diaspora, inflaziona il concetto e lo svuota di significato; e quello che è più grave strumentalizza una storia tragica per asservirla a giustificare crimini di guerra attualmente sotto il vaglio dei tribunali internazionali. Chi critica Israele è attento a non coinvolgere “gli ebrei” nella condanna al governo e al Parlamento di quello Stato; chi cerca di opporsi a queste critiche bollandole come antisemite implicitamente associa tutti gli ebrei, anche nella diaspora, alle azioni sciagurate di un governo imputato del crimine di genocidio e danneggia un popolo capace di esprimere al suo interno molte voci critiche.