Sotto il profilo degli incendi boschivi, il 2023 è stato un anno da dimenticare per il Canada. Già a inizio maggio partivano i primi roghi, protrattisi poi per mesi. Columbia Britannica, Alberta, Ontario, Nuova Scozia, Québec, Territori del Nord-Ovest: praticamente nessun territorio è stato risparmiato, con un’intensità e un’insistenza finora sconosciute, tanto più a queste latitudini. Il bilancio finale? Circa 20 milioni di ettari andati in fumo (più o meno due terzi dell’Italia), danni per la fauna forestale e le comunità locali, inquinamento, fumi giunti fino alle coste statunitensi ed europee di Francia e Portogallo, il 23% delle emissioni totali di carbonio da incendi boschivi nel 2023. Ma dopo otto mesi di lotta, il fuoco è tutt’altro che esaurito.
Incendi zombie – Invisibile a occhio nudo, se non emette pennacchi di fumo, il fuoco cova sotto la neve e, come un morto vivente, aspetta di tornare in vita: da qui il termine colloquiale di incendi zombie, cui la scienza preferisce il più preciso overwintering fires, cioè fuochi che svernano. “Gli incendi zombie sono presenti nelle zone in cui l’estate precedente c’è stato un grosso incendio. Sono sotterranei, e continuano a progredire a bassa velocità sotto la neve, in limitata presenza di ossigeno e alimentati dallo strato organico, per esempio torba o radici morte”, spiega il prof. Emanuele Lingua, docente di gestione degli incendi e dei disturbi di natura abiotica all’Università di Padova.
Nelle foreste boreali è abbastanza normale che ci siano fuochi latenti come questi, perché i suoli organici profondi li alimentano. “Ma ora il problema è serio, perché sono molto più numerosi e lo spessore del manto nevoso ridotto”. Si calcola che ci siano un centinaio di incendi zombie tra Columbia britannica e Alberta. Inutile sperare che si spengano tutti con lo scioglimento delle nevi, vista la scarsità di precipitazioni. E una volta venuti a contatto con l’ossigeno, gli incendi riprendono subito vigore.
Il cambiamento climatico – Come sempre, spunta il colpevole con la C maiuscola. Già nel 2021 uno studio pubblicato su Nature dimostrava il nesso tra il cambiamento climatico e l’aumento degli incendi zombie. “Le temperature si alzano, le precipitazioni si concentrano in brevi periodi e i tempi di siccità sono più lunghi. La quantità di neve diminuisce rispetto al passato, e le piante si trovano presto stressate e in deficit idrico”, sintetizza il prof. Lingua. Quando già in primavera comincia a far caldo e la vegetazione è praticamente secca in zone finora tutt’altro che siccitose, come appunto il Canada, basta poco perché scocchi la scintilla fatale. “Tante le cause accidentali: un fulmine, un albero caduto sulla linea elettrica, l’abbruciamento delle stoppie, la favilla causata dai freni del treno”. Se ci si mette anche il vento, il disastro è garantito. “È presto per dire se quest’anno ci sarà una stagione critica, ma le previsioni meteo indicano periodi tendenzialmente secchi”. E la stagione degli incendi e dell’allerta generale si allunga, per altro non solo in Canada.
Un problema generale – L’anno scorso vasti incendi hanno interessato anche Australia e Russia. “Su scala globale il problema non è tanto il numero degli incendi, quanto la superficie interessata”. L’estate scorsa – per ora la più calda mai registrata – nella sola Italia è bruciata un’area di 71mila ettari (dati del Sistema Informativo Forestale Europeo). Più incendi vasti ci sono, peggiori sono le condizioni ambientali. “Aumentano le emissioni di anidride carbonica, così si innalzano le temperature e aumenta l’effetto serra su scala globale”, avverte il docente. Una spirale poco augurabile, che spinge a cercare soluzioni rapide a un problema multifattoriale.
Una corretta gestione – “Va considerato anche l’impatto antropico diretto”, avverte Lingua. Da una parte, c’è una maggiore presenza di boschi (per certi versi auspicabile) dopo il graduale abbandono delle aree coltivate nel secolo scorso. “Questo richiede un maggior controllo sulle zone di interfaccia tra l’ambiente urbano e quello forestale e rurale. Serve più sicurezza per gli abitati”. Dall’altra parte, c’è una gestione scorretta degli incendi boschivi. “La politica di spegnere tutti gli incendi spontanei, anche radenti e di bassa intensità, ha portato a un accumulo di biomassa e necromassa facilmente incendiabili”. Si è visto per esempio in California, da dove è partito questo tipo di gestione. I piccoli incendi spontanei sono invece fondamentali per il rinnovamento della vegetazione: il docente porta l’esempio della taiga siberiana, e aggiunge: “Il fuoco mantiene alcuni habitat che altrimenti sparirebbero dal pianeta. E il bosco è essenziale, tra l’altro per la protezione da frane e valanghe e come habitat per gli animali selvatici”. Perciò anche noi, nel nostro piccolo, cerchiamo di preservarlo e rispettarlo, evitando per esempio di abbandonare mozziconi accesi o di fare il barbecue in giornate molto secche e ventose.