Le affermazioni del ministro Nordio, volte a sottoporre la magistratura ad una serie di test psicoattitudinali come elemento predittivo della capacità di vestire la toga, sembrano celare un atavico desiderio della politica di tenere sotto controllo uno dei poteri cardine dello Stato, quello giudiziario.

Non si creda che questa pulsione padronale sia un’esclusiva delle destre, le quali la espressero forse in maniera più netta specie nel periodo del berlusconismo. Anche il mondo della sinistra non è immune dal fascino della mordacchia, malcelato da affermazioni quali ‘esprimiamo massima fiducia nella magistratura’ rilasciate da esponenti della gauche intenti a mascherare la rabbia e l’imbarazzo nell’essere stati presi con le mani nella marmellata.

La verità è che il potere giudiziario deve essere libero e non addomesticabile, non soggetto ad alcun processo di normalizzazione. Libero come la pulsione freudiana la quale deve integrarsi nello sviluppo della personalità, senza per questo perdere la sua specifica libertà di azione. Tale potere giudiziario è tuttavia esercitato da uomini, le cui umane passioni e pulsioni possono di certo influenzare il modo di giudicare un cittadino che commette un reato.

Dunque è giusta la via dei test attitudinali? Affatto. Si tratta di una stortura, logica ed intellettuale. Per i pochi che non lo sanno, l’MMPI è un test di matrice statunitense che serve a definire la personalità in base ad una serie di scale lungo le quali questa viene valutata. Un uso siffatto dei questo e altri test contiene una visione normalizzante dell’essere umano, una prospettiva che tende al mantenimento dell’ordine sociale inteso come status quo, ben lontano dall’ottica psicoanalitica che privilegia invece il desiderio personale che è sempre sovversivo e non omologabile.

Non è dunque l’adesione a criteri standardizzati che uno Stato deve pretendere da un giudice. Meglio sarebbe conoscere quanto sotto la toga ci sia individuo che faccia del diritto la struttura di base della propria personalità, avendo fatto chiarezza su due elementi chiave:
1 L’avversione alla perversione
2 La capacità di liberare la propria capacità di giudizio dall’ipoteca di questioni personali.

La struttura perversa è per sua natura contraria alla legge. Individui che non abbiano interiorizzato alcune regole morali, limiti e divieti assimilati nel corso della crescita, non possono essere buoni giudici, poiché il concetto di illimitato contrasta de facto la legge e obbedisce ad altri modi di esperire l’esistenza. Per quel che riguarda il punto 2, vale la pena ricordare la canzone ‘Un giudice’, di Fabrizio de Andrè, che narra la storia di un uomo di bassa statura costretto a subire umiliazioni fino al momento in cui, divenuto procuratore, si prende le rivincite di una vita passata ad essere schernito. Come è facile intuire, non sono certo delle scale di valutazione che possono indagare aree così profonde dell’animo umano.

Mi si obietterà: dunque i tormenti personali non influenzano le scelte individuali? Certo che sì. Il magistrato è umano tanto quanto sono umane e dunque fallaci altre figure professionali (medici, politici, infermieri, insegnanti, appartenenti alle forze dell’ordine) le quali tengono nelle loro mani le condotte e, a volte, le vite altrui, spesso impossibilitate nel trovare punti di sostegno psicologico per le fisiologiche debolezze o momenti di impasse, il che si ripercuote nell’agire verso terzi. Perché dunque pensare alla valutazione psicologica solo di una categoria e non delle altre? Ancora: perché il ministro Nordio non ha fatto il passaggio da ‘valutazione’ a quello di ‘sostegno’? Egli avrebbe potuto approfittare dell’occasione per dare al concetto di ‘tutela psicologica’ un respiro più ampio, pensando ad un utilizzo assai più utile del sapere sull’animo umano.

Come più volte ho motivato nel mio blog, tante sono le categorie che necessiterebbero di un punto di sostegno a causa dell’usura mentale della loro professione. Giudici compresi. Penso ad esempio alle forze armate, per le quali è urgente una revisione dei criteri di ammissione e di sostegno, al fine di impedire che il buio della divisa si tramuti in suicidi oggi troppo frequenti, così come a sbarrare l’accesso nei corpi dello Stato a soggetti sadici e picchiatori che imbrattano le cronache con le loro gesta. Penso al corpo medico provato e stressato dopo il periodo pandemico, o agli insegnanti. Penso agli operatori delle Rsa, ai caregiver. Dunque se il Ministro Nordio volesse immaginare uno stato che non controlla ma sostiene, non intimidisce ma aiuta, non irretisce ma incoraggia tutti coloro i quali lo servono e da ciò escono mentalmente usurati (magistrati compresi), avrebbe oggi un’occasione unica.

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