“Impatto negativo significativo”. Tre parole per spingere la Regione Puglia a fare dietrofront sull’accordo di programma per l’ampliamento della pista Porsche della Nardò Technical Center. A scrivere quelle tre parole è stata la Commissione Europea. Ma prima di approfondire il contenuto delle tre pagine inviate da Bruxelles, tanto pesante da aver indotto la Regione Puglia a fermare tutto, val la pena di ricordare cosa prevedeva il progetto.
Dal 2012 la Porsche Engineering testa sul circuito Nardò Technical Center, centro di sperimentazione unico al mondo, veicoli e prototipi. Non più sufficiente, però, alle nuove esigenze. Per questo nel corso del 2023, il colosso tedesco ha presentato un masterplan per ampliare e intensificare le attività nel presidio salentino. Un imponente progetto di espansione che prevede la realizzazione di altre piste dove testare i veicoli ibridi ed elettrici del futuro, una base di elisoccorso attrezzato con eliporto, un centro visite polifunzionale, completo di attrezzature audiovisive e multimediali, un centro di sicurezza antincendi a servizio del centro prove ma utilizzabile per le aree boschive e per quelle protette che circondano la struttura. Il punto centrale di tutta la vicenda, è che il circuito è incastonato tra la Riserva regionale Palude del Conte e il bosco dell’Arneo. Oltre 200 ettari di macchia mediterranea di secolare memoria.
Della vicenda IlFattoQuotidiano.it ha parlato approfonditamente, soprattutto per un aspetto che oggi torna rilevante: la duplice posizione del mondo ambientalista. Da un lato Italia Nostra che con i comitati locali Custodi del bosco dell’Arneo, Onda Verde e GrIg, è ricorsa al Tar Puglia pur di bloccare il piano tedesco. Dall’altro Legambiente che, invece, ha dapprima espresso “perplessità”, per poi considerare il progetto “una opportunità”. Una posizione, quest’ultima, quantomeno difficile da comprendere se si pensa che persino in Germania il caso è diventato politico. Gli ambientalisti tedeschi hanno presentato addirittura mozioni al Comune di Stoccarda perché testare veicoli elettrici che riducono le emissioni, disboscando 200 ettari di pregiato paesaggio naturale, significa “tradire la mission aziendale”.
Una premessa doverosa per comprendere a pieno il contenuto del parere espresso dalla Commissione Europea. Come detto, sintetizzabile in “impatti negativi significativi”. Il primo tema posto nel documento è che “non si ritiene appropriata la giustificazione del progetto per motivi connessi alla salute dell’uomo e alla sicurezza pubblica”. Il riferimento è alla costruzione dell’eliporto, non ritenuta affatto sufficiente “perché il progetto sembra avere piuttosto un preminente interesse economico e riguarda in sostanza interventi di miglioramento e adeguamento di alcune piste esistenti e la realizzazione di ulteriori piste di prova per gli autoveicoli all’interno del Nardò Technical Center Porsche Engineering (NTC)”.
Per essere più espliciti, i commissari aggiungono che se lo scopo preminente del progetto fosse stato legato a esigenze di salute pubblica, “le opzioni alternative da valutare avrebbero dovuto riguardare direttamente questi obiettivi, tenendo conto di queste esigenze”. Invece – citiamo testualmente – “le alternative che sono state prese in considerazione si riferiscono chiaramente alle necessità (economiche) di sviluppo del NTC e in particolare alle esigenze di ammodernare e ampliare le piste del centro di prove”. Stesso ragionamento viene riportato per il centro di sicurezza antincendi. Di qui la doppia sottolineatura: gli impatti negativi sugli habitat derivano direttamente dai lavori di ampliamento delle piste di collaudo che non possono configurarsi come motivi di salute o di sicurezza pubblica.
C’è poi un’altra ammonizione, da Bruxelles. La valutazione di incidenza deve essere effettuata tenendo conto degli obiettivi di conservazione del sito interessato dal progetto. Ma come già emerso nel corso della procedura di infrazione del 2015, per le Zone Speciali di Conservazione italiane non sono stati ancora definiti e adottati idonei obiettivi di conservazione sito-specifici, coerenti con gli standard richiesti e con la metodologia elaborata dal ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica (MASE). In assenza di questi obiettivi, è impossibile valutare in modo pieno e appropriato tutti i possibili impatti del progetto in questione, nonché l’idoneità e la sufficienza delle misure di mitigazione e di compensazione proposte. Per tutte queste ragioni, le autorità nazionali – è il monito finale – “devono richiedere un parere della Commissione Europea prima di approvare il progetto in questione”. Cosa che, appunto, in questo caso non è avvenuta.