Il picco di violenze al confine tra Israele e Libano innescato dalla nuova offensiva di Tel Aviv benedetta anche dal ministro della Difesa, Yoav Gallant, rischia di scatenare un nuovo scontro tra lo ‘Stato ebraico‘ e le Nazioni Unite. Nei raid condotti in queste ore dalle Forze di difesa israeliane (Idf), secondo media libanesi, un drone ha colpito anche un veicolo militare delle forze di pace dell’Onu nei pressi di Rmeish, nel sud del Paese. Il bombardamento, le cui responsabilità sono ancora tutte da accertare, come confermato dalla missione dei Caschi Blu Unifil a guida italiana, ha provocato il ferimento di quattro osservatori, non in pericolo di vita, della missione di supervisione della tregua (Untso) mentre stavano pattugliando a piedi lungo la Blue Line. “Prendere di mira i peacekeeper è inaccettabile“, ha aggiunto Unifil sottolineando che “tutti gli attori hanno la responsabilità, sulla base del diritto umanitario internazionale, di evitare di prendere di mira non combattenti, tra cui peacekeeper, giornalisti, personale medico e civili“. Nessuno dei feriti, da quanto si apprende, è italiano. Tel Aviv, però, nega qualsiasi responsabilità: “Non abbiamo colpito alcun veicolo Unifil“.

Secondo la ricostruzione fornita all’Ansa dalle fonti libanesi, “i tre osservatori e il loro interprete libanese erano scesi dai veicoli nei pressi di Rmeish quando hanno sentito il ronzio del drone e sono rientrati velocemente a bordo dei due fuoristrada”. A quel punto, affermano, il velivolo ha lanciato un missile verso il convoglio. Uno dei feriti è stato trasportato d’urgenza in elicottero all’ospedale Saint George di Beirut.

Il fronte nord del nuovo conflitto israeliano si era riscaldato già nelle ultime ore, con i razzi di Tel Aviv che però avevano mirato sulla Siria, in particolare Aleppo, in uno dei più violenti e sanguinosi raid israeliani sulla Siria della storia recente. Nei bombardamenti di venerdì sono morte 42 persone, tra cui, secondo quanto si apprende, anche sei esponenti del partito sciita libanese Hezbollah dislocati nel Paese di Bashar al-Assad.

A preoccupare non ci sono solo i dati sulla violenza dell’attacco e i numeri dei morti, ma anche le dichiarazioni d’intenti arrivate dal ministro Gallant, secondo cui Israele “estenderà la sua offensiva al nord e aumenterà gli attacchi” contro gli Hezbollah. Gallant ha aggiunto che l’azione di Israele “sta diventano più offensiva che difensiva e arriveremo ovunque Hezbollah si trovi. Beirut, Baalbek, Tiro, Sidone e per tutta la lunghezza del confine. E in posti più lontani, come Damasco“.

Dalle parole del ministro emerge, quindi, che l’operazione militare di Israele si sta trasformando da una lotta per “l’autodifesa“, come continuano a ripetere le istituzioni locali, a una guerra strategica offensiva. E questo, col passare del tempo, potrebbe rendere complicato per gli alleati giustificare il proprio sostegno al governo di Benjamin Netanyahu e alle sue azioni in campo militare. E quest’ultimo episodio potrebbe essere la prima goccia in un vaso già ampiamente riempito dalle violenze nella Striscia di Gaza, dalle oltre 32mila vittime, il rischio di carestia nell’enclave palestinese e l’aumento delle violenze impunite dei coloni israeliani nei Territori Occupati. Non a caso, proprio venerdì il portavoce di tutta la missione Onu presente in Libano dal 1978, Andrea Tenenti, aveva dichiarato che i militari sono “seriamente preoccupati per l’aumento di violenza a ridosso della Linea Blu. Questa escalation ha causato un alto numero di morti tra i civili, oltre alla distruzione delle abitazioni e delle fonti di sostentamento”, ha poi aggiunto.

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