Una nuova terapia genica, con T-CAR, cellule immunitarie ingegnerizzate di nuova generazione, ha mostrato risultati promettenti nel trattamento del glioblastoma, una delle forme di cancro cerebrale più temute, in quanto più aggressiva e difficile da trattare. A dimostrarlo due studi, pubblicati rispettivamente su Nature Medicine e su The New England Journal of Medicine. Nei due lavori è riportata la progettazione, l’impiego e l’azione di cellule immunitarie, chiamate cellule T chimeriche con recettore dell’antigene, o CAR-T, contro il glioblastoma.
L’aspettativa di vita media in persone affette da glioblastoma è di otto mesi. Entrambi i gruppi di ricerca hanno riscontrato i primi progressi dell’utilizzo delle cellule CAR-T, che hanno come bersaglio due proteine prodotte dalle cellule del glioblastoma, marcando così tali cellule per la distruzione. Le cellule T-CAR sono approvate esclusivamente per il trattamento di tumori del sangue, come la leucemia, e sono in genere progettate per colpire un solo bersaglio. Ma, questi risultati si aggiungono alle prove sempre più evidenti che le cellule T-CAR potrebbero essere modificate per colpire una gamma più ampia di tumori.
La possibilità di fare la differenza – “I risultati conferiscono credibilità al potenziale delle cellule T-CAR di fare la differenza nei tumori solidi, soprattutto nel cervello”, ha detto Bryan Choi, neurochirurgo del Massachusetts General Hospital di Boston e autore principale dello studio del New England Journal of Medicine. “Ciò aumenta l’entusiasmo, in quanto potremmo essere in grado di spostare l’ago della bilancia”, ha continuato Choi. I glioblastomi rappresentano da sempre una sfida nel campo della medicina. Questo tipo di cancro, se a crescita rapida, può diffondersi nelle cellule cerebrali sane, formando tumori diffusi difficili da rimuovere durante un intervento.
La chirurgia, la chemioterapia e la radioterapia sono in genere le uniche opzioni di trattamento per questi tumori e tendono a produrre risposte parziali e di breve durata. Nella terapia CAR-T, i linfociti T del paziente vengono prelevati dal corpo e, poi, dotati di proteine che aiutano le cellule a localizzare i tumori. Le cellule potenziate vengono poi reinfuse nell’organismo dell’individuo stesso. Negli ultimi anni, i ricercatori hanno sviluppato cellule T CAR che mirano a colpire molecole specifiche prodotte da alcuni glioblastomi.
Le due ricerche hanno compiuto un ulteriore passo avanti, progettando cellule CAR-T che non mirano a un solo tipo di molecola, ma a due. Choi e i suoi colleghi hanno sviluppato cellule CAR-T per agganciarsi a una forma mutata di una proteina, chiamata recettore del fattore di crescita epidermico, o EGFR, che viene prodotta da alcune cellule di glioblastoma. Le cellule CAR-T secernono, inoltre, anticorpi che si legano sia alle cellule T sia alla forma non mutata di EGFR, che non è tipicamente generata dalle cellule cerebrali ma, spesso, dalle cellule di glioblastoma. Il risultato è una terapia CAR-T che scatena il sistema immunitario contro le cellule che esprimono la forma mutata o non mutata di EGFR. Choi e il suo gruppo di ricerca hanno somministrato queste cellule a tre adulti con glioblastoma. I tumori sembravano ridursi in tutti e tre, ma in seguito si sono ripresentati. In un uomo che ha ricevuto il trattamento, tuttavia, la risposta positiva è durata più di sei mesi.
I tumori sono andati in recessione durante il trattamento – L’altra squadra di scienziati, guidata da Stephen Bagley, neuro-oncologo presso la University of Pennsylvania Perelman School of Medicine di Filadelfia, ha utilizzato cellule T-CAR che hanno come bersaglio sia l’EGFR sia un’altra proteina presente nei glioblastomi, nota come recettore alfa 2 dell’interleuchina-13. I tumori sono andati in recessione in tutte e sei le persone trattate. “Il glioblastoma di un partecipante ha ricominciato a formarsi entro un mese, ma un altro non ha mostrato segni di progressione del tumore per sette mesi”, ha spiegato Bagley. “Dei quattro partecipanti rimanenti, uno ha abbandonato lo studio e negli altri tre i tumori non sono ricomparsi, ma solo a sei mesi dal trattamento”, ha continuato Bagley.
“Gli esiti sono promettenti, ma l’obiettivo è quello di generare risposte più durature”, ha precisato Bagley. “È stato emozionante – ha commentato Bagley – vedere i tumori ridursi già dal primo giorno successivo alla somministrazione della terapia CAR-T”. “Era qualcosa mai visto prima: eravamo entusiasti”, ha raccontato Bagley. Ma, l’euforia è svanita quando i partecipanti hanno avuto una ricaduta dopo il trattamento. “È molto umiliante fare questo giro sulle montagne russe”, ha dichiarato Bagley. “Una settimana si ha la sensazione di aver fatto una vera differenza nella loro vita, e la settimana dopo il tumore torna di nuovo”, ha osservato Bagley.
“Le dimensioni dei glioblastomi sono notoriamente difficili da misurare a causa della loro forma diffusa e dei cambiamenti apparenti nella grandezza del tumore, che potrebbero essere influenzati dall’infiammazione scaturita dall’intervento chirurgico durante l’infusione diretta delle cellule T-CAR nel cervello”, ha spiegato Sneha Ramakrishna, oncologa pediatrica presso la Stanford Medicine in California, che assieme agli altri esponenti del settore attende con ansia ulteriori risultati. “Ma – ha sottolineato Ramakrishna – le immagini sono impressionanti e le misure dell’RNA tumorale nello studio di Choi e colleghi suggeriscono che i tumori potrebbero essersi effettivamente ridotti”. Secondo la ricercatrice, la costruzione di cellule CAR-T con bersagli multipli potrebbe produrre terapie di lunga durata, rendendo più difficile per le cellule tumorali sviluppare una resistenza alla terapia. “Non vedo l’ora di scoprire cosa faranno nel tempo”, ha evidenziato Ramakrishna. “Spero che, con una maggiore esperienza, potremo imparare a fare la giusta RCA per i nostri pazienti”, ha concluso Ramakrishna.
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Lucrezia Parpaglioni