Mondo

‘I miei colleghi sono ormai zombie. Mettiamo i pezzi di persone nei sacchi, ma non hanno più identità’: il racconto del medico italiano a Gaza

I medici che vagano “come zombie” per le corsie di ciò che rimane degli ospedali, mentre fuori, nelle città della Striscia di Gaza, si assiste a “un gioco al massacro, dove si sta perdendo qualsiasi concetto di umanità”. Il racconto di Roberto Scaini, medico italiano di Medici Senza Frontiere (Msf) che sta lavorando all’ospedale di Al-Aqsa, nella parte centrale della Striscia, trasmette la disperazione di operatori sanitari, cooperanti e soccorritori dopo quasi sei mesi di guerra, con oltre 32mila vittime e intere aree rase al suolo dai bombardamenti di Israele.

“Negli ospedali manca tutto. Mancano le garze, mancano i farmaci, mancano gli anestetici. I pazienti vengono trattati a terra, il pronto soccorso è diventato un posto assolutamente indescrivibile dove i corpi sono ovunque. I miei colleghi lavorano senza tregua, sono esausti, camminano come degli zombie cercando di fare quello che possono”, dice il medico riportando alla mente le immagini e i racconti che arrivano ormai da mesi, con feriti gravi trattati senza alcun tipo di anestesia.

Condizioni estreme che trasformano l’operazione militare di Israele in una carneficina senza pietà che ricorda più una guerra vecchia di secoli che un conflitto moderno: “Sembra un dispaccio da una guerra del Medioevo ma invece è il dispaccio da una guerra che si sta atrocemente compiendo nel 2024 – continua nel video diffuso dall’ufficio stampa di Msf – Gaza appare come un’arena dove dentro si sta giocando il gioco al massacro, dove si sta perdendo qualsiasi concetto di umanità. Le persone cercano di scappare da questa folle guerra ma si sa che non c’è nessun luogo dove si può scappare. Nessuno può uscire dalla Striscia di Gaza”.

Il medico si trova in una delle aree già penetrate dall’esercito israeliano, dove alle bombe dal cielo sono seguite le incursioni delle truppe di terra dell’Idf che hanno condotto raid ovunque, dagli edifici delle Nazioni Unite ai campi profughi, fino anche agli ospedali. “Io mi trovo attualmente nella parte centrale, a Deir el Balah, dove Medici Senza Frontiere supporta l’ospedale di Al-Aqsa e dove la situazione è al collasso – prosegue il medico – All’interno dell’ospedale ci sono centinaia di pazienti in ogni angolo: per terra, sulle scale, nei corridoi. È addirittura difficile capire chi ancora è vivo e chi è morto. Insieme ai feriti, nell’ospedale vivono centinaia di persone che qui hanno cercato un rifugio. Un rifugio che non c’è, perché sappiamo benissimo che qualsiasi struttura è un bersaglio. Anche gli ospedali sono stati attaccati, alcuni letteralmente rasi al suolo”.

Le scene a cui gli operatori sono costretti ad assistere sono macabre a livelli mai visti nella loro esperienza. La violenza del conflitto consegna ai sanitari pezzi di persone senza più un’identità, impossibili da riconoscere se non per alcuni rari particolari, come vestiti e oggetti: “Nella stanza adibita a camera mortuaria arrivano brandelli di corpi di intere famiglie tenute nei sacchi. Qui non ci sono solo i brandelli di corpi, ma ci sono gli ultimi brandelli della speranza, gli ultimi brandelli della dignità e dell’umanità. La città di Deir el Balah è letteralmente invasa da persone che cercano quel rifugio che non c’è. Non c’è nessun rifugio, non c’è nessun luogo sicuro. Vivono accampati come possono, alcuni nemmeno in tende ma in strutture di plastica provvisorie che sono in ogni angolo. Non c’è spazio da nessuna parte. Le persone sono scappate dal nord, si sono rifugiate nella parte centrale e a sud dove la minaccia di un attacco adesso è imminente. Sono costretto spesso ad abbassare gli occhi nel guardare le persone, nel guardare la disperazione sui loro volti. Sembra che qui anche la speranza sia stata uccisa insieme agli innocenti, gli stessi bambini vagano per la città cercando qualcosa. È una situazione umanamente devastante”.