Com’era prevedibile, l’Antitrust comunitaria ha espresso formalmente al ministero dell’Economica alcuni dubbi sull’acquisizione di Ita da parte di Lufthansa, che potrebbe avere ripercussioni negative sulla concorrenza e sulle tariffe. Nata nel 2020 per essere poi venduta, liberata dai debiti di Alitalia con il commissariamento della vecchia compagnia aerea e con la prosecuzione della più lunga cassa integrazione della storia italiana (battuta anche la Fiat).
Il traguardo della vendita, però, non è stato raggiunto. Con diversi maldestri espedienti Ita è nata senza assicurare quella discontinuità con la vecchia Alitalia che la Commissione Ue ci chiedeva. Ad Ita sono passati gli stessi slot, gli stessi aerei e, riassunto, gli ex dipendenti di Alitalia (4mila, gli altri 3mila sono rimasti in Cig o in Naspi nell’Alitalia commissariata): dai dirigenti, ai piloti, agli assistenti di volo, senza alcuna valutazione professionale, ma in base ad un accordo contratto segreto tra le due compagnie aeree. Procedure di assunzione inique decise arbitrariamente che hanno lasciato fuori anche addetti di numerose compagnie aeree italiane fallite come Air Italy, ex Meridiana. Quasi tutti i 6mila restati fuori, perché non nelle grazie di politici e sindacati confederali, hanno fatto ricorso alla giustizia del lavoro e fino ad ora 4 giudici hanno sentenziato che le selezioni per le riassunzioni sono state discriminatorie. Pertanto i ricorrenti vanno riassunti.
Anche per questo i piani del Mef e di Lufthansa possono andare a gambe all’aria. Molte altre cause di gruppi di lavoratori sono in attesa di giudizio ed è probabile che si concluderanno allo stesso modo: l’obbligo di riassunzione. A questo punto non ci sono solo i dubbi dell’Antitrust, ma anche di Lufthansa che avrebbe acquistato il 41% delle azioni di Ita solo se snellita di almeno 3mila addetti. Tale garanzia non c’è più, date le vertenze in corso che hanno ulteriormente allontanato un piano corporativo ad escludendum che assicurava solo il management aziendale e il blocco corporativo confederale.
La soluzione che i contribuenti italiani si aspettano da 30 anni, cioè quella di liberare finalmente le casse dello Stato (almeno 15 miliardi di euro) dall’enorme peso della compagnia aerea nazionale, non è ancora stata trovata. La quota di traffico passeggeri sui voli domestici di Ita è sempre più bassa e marginale del 19% contro il 50% di Ryanair e il 10% di EasyJet, mentre nei collegamenti infra-europei è del 3,5% contro il 37% di Ryanair, il 12% di EasyJet e il 19% di Wizzair. Le tariffe sono sempre più care rispetto ai concorrenti. Superata surrettiziamente l’inerzia politica dei vari sostegni ad Alitalia, prima con prestiti ponte e aiuti di Stato mascherati, mai restituiti e illegittimi rispetto alla normativa europea, si è passati alle costose casse integrazioni. Successivamente alle fallimentari fasi delle privatizzazioni dei “capitani coraggiosi” e all’alleanza a perdere con Etihad, senza risolvere alcun problema.
Tre anni fa ci si è inventati la nascita di Ita, clone di Alitalia, controllata di nuovo al 100% dal Ministero dell’Economia che, uscito dalla porta, è rientrato dalla finestra. La cessione della quota di minoranza sarebbe in realtà solo il primo timido passo per un’operazione già disegnata negli accordi tra Lufthansa e il Mef, che porterebbe i tedeschi a contare subito nella gestione di Alitalia e ad avere diritto di acquisire la maggioranza azionaria in modo molto graduale, fino ad arrivare al 100% del capitale entro il 2033, cioè fra nove anni esatti.
Se i primi tre anni di vita di Ita sono stati un nuovo salasso per i contribuenti, visti i bilanci chiusi in perdita, c’è da ritenere che anche il lungo periodo pre-privatizzazione sia tutto sul groppone pubblico e che, come in questi tre anni, sia Ita a trascinare all’insù le tariffe aeree anche delle low cost nelle tratte domestiche. La creazione della mini Alitalia ha già le sue rogne derivanti da una finta e iniqua privatizzazione che peggiorerebbe solo le cose.