di Simonetta Lucchi
Era di maggio…
…altro non ricordo, se non un giorno assolato, sulle ginocchia del padre, a mangiare ciliegie…e poi, quella scossa. E poi, tutti in strada. A cercare luoghi aperti, lontani dalle case. Le notti a dormire all’aperto.
Ci sono fatti che segnano delle linee di confine. Degli spartiacque, nel mio caso, tra infanzia e maturità. Quasi un’adolescenza mancata, o troppo breve. Eppure, eravamo a 400 km di distanza.
Quello che era successo lo abbiamo saputo solo dopo. Il terremoto del Friuli. 6 maggio 1976, magnitudo 6.4 epicentro la valle del Tagliamento, oltre cento paesi nelle Province di Udine e Pordenone, ma anche oltreconfine, la valle dell’Isonzo e Caporetto. Una disfatta, ancora.
E lì, lontano, c’erano i nonni. Che non si potevano raggiungere, non c’erano cellulari e nemmeno telefoni. Le poste non funzionavano e le televisioni erano in bianco e nero. E i nonni erano giovani, pensandoci bene.
Che poi raccontavano: eravamo corsi verso gli usci, che allora non si chiudevano mai a chiave. Ma non si aprivano, dall’interno. E guardando dalle finestre, le cime delle montagne sembravano di fuoco. Un rombo sordo, cupo, come di tuono. Un’apocalisse.
E poi, hanno ricostruito. Quanto ci hanno messo? Dieci anni, venti. Chi non ha perso la vita, quasi mille persone, chi non è rimasto ferito.
Il danno al patrimonio edilizio enorme, circa 15mila lavoratori perdono il posto di lavoro per la distruzione o il danneggiamento delle fabbriche. Allora, la maggior parte dei comuni colpiti in modo rilevante – come Buia, Gemona e Osoppo – non erano classificati come sismici e non erano quindi soggetti all’applicazione di norme specifiche per le costruzioni. Oggi molto è stato fatto, molto è cambiato.
Un altro mondo, appunto, che ogni tanto torna alla mente. 27 marzo 2024: l’Orcolat, il mostro che secondo le saghe friulane è rinchiuso sotto terra nella Carnia e quando si agita scuote le montagne provocando i terremoti, si è risvegliato. Ma siamo cresciuti, ci possiamo difendere.