“La pace non si costruisce con i sentimenti e le buone parole, la pace è soprattutto deterrenza e impegno, sacrificio”, ha detto la presidente del consiglio Giorgia Meloni in visita al contingente italiano in Libano. Siamo d’accordo con lei sul fatto che la pace non si costruisca a parole, con i soli “buoni sentimenti”, ma necessiti di “impegno” e “sacrificio”, purché questi siano orientati alla costruzione di mezzi funzionali al fine, ossia mezzi di pace per fini di pace, come previsto dalla Costituzione italiana e dalla Carta delle Nazioni Unite e come suggerisce la ragione umana. Mentre la “deterrenza” va esattamente nella direzione opposta: è la corsa agli armamenti che, mentre prepara la guerra – e ottiene la guerra – risucchia e brucia nelle spese militari infinite risorse sottratte alla sicurezza sociale e al progresso civile.
La deterrenza militare, e dopo Hiroshima nucleare, è fondata sull’obsoleto e inefficace principio del “se vuoi la pace prepara la guerra”, ripetuto ormai ossessivamente a tutti i livelli nazionali e internazionali. Lo abbiamo scritto più volte: è un vuoto e irrazionale ossimoro, che non ha nessuna aderenza con la verità dei fatti. I governi nel loro complesso – come certifica anno dopo anno il Sipri, l’autorevole Istituto di ricerca di Stoccolma – non hanno mai speso così tanto per la guerra e, di conseguenza, la guerra dilaga ovunque. Nel 2022 i paesi Nato hanno speso per preparare la guerra 1230 miliardi di dollari, ossia il 55% dei 2240 miliari di dollari spesi globalmente in armamenti, a fronte degli 86,4 miliardi spesi dalla Russia. Ma questo non ha impedito (non è stato un deterrente!) a quest’ultima di invadere l’Ucraina, oltre a farci precipitare a soli 90 secondi dalla mezzanotte nucleare nell’Orologio dell’Apocalisse, monitorato dagli Scienziati atomici. Sostenere il contrario, dunque, è abuso della credulità popolare, a beneficio dei profitti dell’industria degli armamenti, a rischio della sopravvivenza dell’umanità.
Lo scriveva già Aldo Capitini, filosofo della nonviolenza, nel 1968, in riferimento alla precedente corsa agli armamenti: “Si sa che cosa significa, oggi specialmente, la guerra e la sua preparazione: la sottrazione di enormi mezzi allo sviluppo civile, la strage degli innocenti e di estranei, l’involuzione dell’educazione democratica e aperta, la riduzione della libertà e il soffocamento di ogni proposta di miglioramento della società e delle abitudini civili, la sostituzione totale dell’efficienza distruttiva al controllo dal basso”. La deterrenza è la logica perversa della preparazione continua della guerra come orizzonte permanente, che implica la costruzione del “nemico” per definizione, che ammorba le coscienze, militarizza la società, trasforma l’informazione in propaganda, la cultura in indottrinamento, la costruzione di ponti di dialogo in tradimento.
La deterrenza è rinuncia alla costruzione della “pace positiva”, ossia – come insegnava il recentemente scomparso Johan Galtung, fondatore del Peace studies internazionali – non la mera assenza di guerra, ma la costruzione di un sistema di sicurezza globale che si dota di strumenti e saperi capaci di intervenire e operare la trasformazione nonviolenta dei conflitti nelle varie fasi: prima che degenerino in violenza, attraverso la prevenzione, l’eliminazione, la riduzione delle cause della violenza; durante la violenza, attraverso l’interposizione, la mediazione, il dialogo tra le parti; dopo la violenza, attraverso la riconciliazione, la ricostruzione, la risoluzione. E’ la costruzione della pace con mezzi pacifici, che richiede “impegno” e “sacrificio”, appunto, ma funzionali.
La deterrenza nucleare è, inoltre, vietata dal diritto internazionale, perché armi e deterrenza nucleari sono stati messi fuorilegge dal Trattato Tpnw delle Nazioni Unite, in vigore dal 2021. Il Tpnw proibisce agli Stati di sviluppare, testare, produrre, realizzare, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare gli armamenti nucleari, o anche permettere alle testate di stazionare sul proprio territorio. Trattato che il nostro Paese non ha ancora ratificato, pur avendo sul proprio territorio decine di testate nucleari, tra le basi militari statunitensi di Ghedi e Aviano, che ne fanno primario target nucleare, come si evince anche dalla terrificante e realistica simulazione messa a punto dall’Università di Princeton nel 2019, secondo la quale già nelle prime ore di guerra con epicentro l’Europa morirebbero oltre 90 milioni di persone.
Infine, meglio non dimenticare che la deterrenza, cioè la corsa agli armamenti, avrebbe già portato alla guerra nucleare tra Nato e Patto di Varsavia se il presidente sovietico Michail Gorbačëv non avesse deciso di spezzare l’escalation, praticando attivamente il suo contrario: il disarmo unilaterale. Ben tre anni prima dell’abbattimento del Muro di Berlino, Gorbačëv aveva sottoscritto con il presidente indiano Rajiv Gandhi l’articolata Dichiarazione di Delhi, che si concludeva con questo impegno: “La costruzione di un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento esige una trasformazione rivoluzionaria della mentalità degli uomini, l’educazione dei popoli nello spirito della pace, il rispetto reciproco e la tolleranza. Occorre vietare la propaganda della guerra, dell’odio e della violenza e rinunciare agli stereotipi della mentalità di chi vede un nemico in altri paesi e popoli” (Dichiarazione di New Delhi, 27 novembre 1986).
Gorbačëv era pienamente consapevole del fatto che, per preservare la sopravvivenza dell’umanità, fosse necessario cambiare radicalmente strada nel rapporto tra gli Stati e vi mise mano attraverso un’evoluzione graduale del bipolarismo da antagonistico a cooperativo verso un sistema fondato sull’“interdipendenza”, partendo dalla progressiva dismissione del proprio apparato bellico, nucleare e non solo. Come, anche allora, indicavano i movimenti pacifisti e nonviolenti. Ma oggi folli Stranamore sono tornati al potere ovunque, dal Mosca a Washington, passando per un’Europa (e un’Italia) sorda alla ragione e incapace di mettere in campo un’azione di pace con mezzi pacifici.
Pasquale Pugliese
Filosofo, autore su pace e nonviolenza
Mondo - 1 Aprile 2024
Per Meloni la deterrenza porta alla pace? La corsa agli armamenti va in direzione opposta
“La pace non si costruisce con i sentimenti e le buone parole, la pace è soprattutto deterrenza e impegno, sacrificio”, ha detto la presidente del consiglio Giorgia Meloni in visita al contingente italiano in Libano. Siamo d’accordo con lei sul fatto che la pace non si costruisca a parole, con i soli “buoni sentimenti”, ma necessiti di “impegno” e “sacrificio”, purché questi siano orientati alla costruzione di mezzi funzionali al fine, ossia mezzi di pace per fini di pace, come previsto dalla Costituzione italiana e dalla Carta delle Nazioni Unite e come suggerisce la ragione umana. Mentre la “deterrenza” va esattamente nella direzione opposta: è la corsa agli armamenti che, mentre prepara la guerra – e ottiene la guerra – risucchia e brucia nelle spese militari infinite risorse sottratte alla sicurezza sociale e al progresso civile.
La deterrenza militare, e dopo Hiroshima nucleare, è fondata sull’obsoleto e inefficace principio del “se vuoi la pace prepara la guerra”, ripetuto ormai ossessivamente a tutti i livelli nazionali e internazionali. Lo abbiamo scritto più volte: è un vuoto e irrazionale ossimoro, che non ha nessuna aderenza con la verità dei fatti. I governi nel loro complesso – come certifica anno dopo anno il Sipri, l’autorevole Istituto di ricerca di Stoccolma – non hanno mai speso così tanto per la guerra e, di conseguenza, la guerra dilaga ovunque. Nel 2022 i paesi Nato hanno speso per preparare la guerra 1230 miliardi di dollari, ossia il 55% dei 2240 miliari di dollari spesi globalmente in armamenti, a fronte degli 86,4 miliardi spesi dalla Russia. Ma questo non ha impedito (non è stato un deterrente!) a quest’ultima di invadere l’Ucraina, oltre a farci precipitare a soli 90 secondi dalla mezzanotte nucleare nell’Orologio dell’Apocalisse, monitorato dagli Scienziati atomici. Sostenere il contrario, dunque, è abuso della credulità popolare, a beneficio dei profitti dell’industria degli armamenti, a rischio della sopravvivenza dell’umanità.
Lo scriveva già Aldo Capitini, filosofo della nonviolenza, nel 1968, in riferimento alla precedente corsa agli armamenti: “Si sa che cosa significa, oggi specialmente, la guerra e la sua preparazione: la sottrazione di enormi mezzi allo sviluppo civile, la strage degli innocenti e di estranei, l’involuzione dell’educazione democratica e aperta, la riduzione della libertà e il soffocamento di ogni proposta di miglioramento della società e delle abitudini civili, la sostituzione totale dell’efficienza distruttiva al controllo dal basso”. La deterrenza è la logica perversa della preparazione continua della guerra come orizzonte permanente, che implica la costruzione del “nemico” per definizione, che ammorba le coscienze, militarizza la società, trasforma l’informazione in propaganda, la cultura in indottrinamento, la costruzione di ponti di dialogo in tradimento.
La deterrenza è rinuncia alla costruzione della “pace positiva”, ossia – come insegnava il recentemente scomparso Johan Galtung, fondatore del Peace studies internazionali – non la mera assenza di guerra, ma la costruzione di un sistema di sicurezza globale che si dota di strumenti e saperi capaci di intervenire e operare la trasformazione nonviolenta dei conflitti nelle varie fasi: prima che degenerino in violenza, attraverso la prevenzione, l’eliminazione, la riduzione delle cause della violenza; durante la violenza, attraverso l’interposizione, la mediazione, il dialogo tra le parti; dopo la violenza, attraverso la riconciliazione, la ricostruzione, la risoluzione. E’ la costruzione della pace con mezzi pacifici, che richiede “impegno” e “sacrificio”, appunto, ma funzionali.
La deterrenza nucleare è, inoltre, vietata dal diritto internazionale, perché armi e deterrenza nucleari sono stati messi fuorilegge dal Trattato Tpnw delle Nazioni Unite, in vigore dal 2021. Il Tpnw proibisce agli Stati di sviluppare, testare, produrre, realizzare, trasferire, possedere, immagazzinare, usare o minacciare di usare gli armamenti nucleari, o anche permettere alle testate di stazionare sul proprio territorio. Trattato che il nostro Paese non ha ancora ratificato, pur avendo sul proprio territorio decine di testate nucleari, tra le basi militari statunitensi di Ghedi e Aviano, che ne fanno primario target nucleare, come si evince anche dalla terrificante e realistica simulazione messa a punto dall’Università di Princeton nel 2019, secondo la quale già nelle prime ore di guerra con epicentro l’Europa morirebbero oltre 90 milioni di persone.
Infine, meglio non dimenticare che la deterrenza, cioè la corsa agli armamenti, avrebbe già portato alla guerra nucleare tra Nato e Patto di Varsavia se il presidente sovietico Michail Gorbačëv non avesse deciso di spezzare l’escalation, praticando attivamente il suo contrario: il disarmo unilaterale. Ben tre anni prima dell’abbattimento del Muro di Berlino, Gorbačëv aveva sottoscritto con il presidente indiano Rajiv Gandhi l’articolata Dichiarazione di Delhi, che si concludeva con questo impegno: “La costruzione di un mondo libero dalle armi nucleari e nonviolento esige una trasformazione rivoluzionaria della mentalità degli uomini, l’educazione dei popoli nello spirito della pace, il rispetto reciproco e la tolleranza. Occorre vietare la propaganda della guerra, dell’odio e della violenza e rinunciare agli stereotipi della mentalità di chi vede un nemico in altri paesi e popoli” (Dichiarazione di New Delhi, 27 novembre 1986).
Gorbačëv era pienamente consapevole del fatto che, per preservare la sopravvivenza dell’umanità, fosse necessario cambiare radicalmente strada nel rapporto tra gli Stati e vi mise mano attraverso un’evoluzione graduale del bipolarismo da antagonistico a cooperativo verso un sistema fondato sull’“interdipendenza”, partendo dalla progressiva dismissione del proprio apparato bellico, nucleare e non solo. Come, anche allora, indicavano i movimenti pacifisti e nonviolenti. Ma oggi folli Stranamore sono tornati al potere ovunque, dal Mosca a Washington, passando per un’Europa (e un’Italia) sorda alla ragione e incapace di mettere in campo un’azione di pace con mezzi pacifici.
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Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Sembra che parliamo di cose astratte o di fantasie ma le alleanze le abbiamo già fatte e abbiamo vinto due elezioni in Regioni in cui governava la destra, costruendo una coalizione attorno a un programma di cose concrete". Lo ha detto Elly Schlein a Piazzapulita, a proposito del centrosinistra.
"Sento anche io questo ritornello dell'opposizione che manca, ma non tiriamoci più sfiga di quella che c'è. Lavoriamo per unire le opposizioni su cose concrete. In Parlamento sono più le cose che votiamo insieme di quelle che su cui dividiamo", ha spiegato la leader del Pd.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Io continuo a insistere, sono testardamente unitaria, ce lo chiede la gente. Rispetto il dibattito di questi giorni, l'aspetto positivo è che siamo tutti d'accordo sul fatto che non può andare come l'altra volta. Ma prima degli accori tattici ho una ambizione più alta, unire su una prospettiva comune l'Italia che vuole mandare a casa la destra". Lo ha detto Elly Schlein a Piazzapulita sul dibattito innescato dalle parole di Dario Franceschini.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "L'attacco giudiziario è un altro modo di Giorgia Meloni di spostare l'attenzione dall'economia che è ferma, dalla produzione industriale che cala da 20 mesi, dai salari che calano. Cosa sale, mentre la Meloni cerca di farci parlare d'altro? Le accise, le liste d'attesa, le bollette". Lo ha detto Elly Schlein a Piazzapulita parlando del caso Almasri.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Una vergogna, dichiaravano guerra ai trafficanti in tutto il globo terracqueo, hanno fatto il rimpatrio più veloce della storia d'Italia. Meloni deve riferire in aula, si fa vedere solo suo social. La devono smettere di scappare, devono spiegare". Lo ha detto Elly Schlein a Piazzapulita sul caso Almasri.
Roma, 30 gen (Adnkronos) - "Stupiscono le critiche superficiali alle dichiarazioni dell’onorevole Giovanni Donzelli. Le polemiche che imperversano non aiutano la coalizione anche se capisco sono frutto della passione e la gratitudine verso il grande leader che è stato Berlusconi". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, coordinatore della Direzione nazionale di Fratelli d'Italia.
"Le dichiarazioni di Donzelli invece sono un'analisi elettorale, perché la figura di Berlusconi non è in discussione per nessuno di noi in Fdi; molti hanno militato nel Pdl e molti provengono da Forza Italia. Egli ha conquistato un posto nella storia, è stato il leader della coalizione e ognuno di noi è riconoscente alla sua opera e alla sua azione", ha continuato Cirielli.
"Donzelli ha fatto solo un esame quantitativo. Prima della discesa in campo di Berlusconi nelle comunali del 1993 di Napoli e Roma, il MSI aveva raccolto oltre il 30%; con la discesa in campo di Forza Italia nel 1994 - pochi mesi dopo - il Msi scese al 13.5% -precisa Cirielli-. Se questa è storia, è altrettanto un fatto storico che grazie a Berlusconi nacque la Destra di Governo. La coalizione che seppe mettere in campo e che solo lui poteva creare ancora oggi, con la guida di Giorgia Meloni, è protagonista. Di questo gli saremo grati per sempre".