“Aspetta, non muoverti, sta fermo, basta. Ascolta, ora devi solo ascoltare”. È un invito a sé stesso, a uscire dalla comfort zone dell’artista di successo, che Roberto Vecchioni fa nel suo ultimo libro, “Tra il silenzio e il tuono”. Un’opera che è una cascata di pensieri e parole, un volo in picchiata su un punto cieco della vita: il dolore. Vecchioni si spoglia, si sdoppia, si confessa. È un uomo che sogna e ricorre il tempo, un padre, un marito, un amico che piange, ride, si dispera. Il libro è una canzone che racchiude tutte le altre, la ballata di una vita sospesa tra il silenzio e il tuono, riletta tra metafore e citazioni.
“Il diavolo tenta in ogni modo di comprarmi l’anima e offre di tutto, Minipony e Barbie, compendio totale di fantasie bambine e adulte perversioni. Ma toppa di brutto. Alla fine venderò l’anima ad un portiere di notte. In cambio di cosa? Del silenzio”. Nel libro, un nonno, un padre e un figlio si passano come eredità il senso del vivere. È lanciare coltelli per colpire le stelle e illuminare l’universo. Sono coltelli simbolici che stanno per sogni, desideri, speranze, fedi, slanci d’amore, risate e abbracci: “Quando li hai lanciati tutti, beh, allora senti che sei solo. Ma non crederci, continua a lanciarli”.
Poi c’è il dolore che entra nella vita, ne fa parte. C’è la perdita di un figlio. (Arrigo, morto il 18 aprile 2023, ndr) Il funerale da cui non si torna: “Il dolore più grande sta sempre nel rimorso, quello di aver messo la mia vita davanti alla sua. Non passa, non mi passerà mai. Nel libro, quando ne ho parlato, l’ho fatto volutamente sotto metafora. Quella dell’ultimo autovelox, quella della penna piantata nel suo cuore e addirittura quella del dolore espresso non da me, ma dalle cose intorno in quella buia notte: le piastrelle dell’ospedale, i neon, gli insetti…”
E ancora, Vecchioni parla del suo rapporto con Dio: “Questa è una boutade, in fondo credo che ascolti, eccome che ascolti. Il vero grande miracolo è che Dio non interviene mai, ha giurato di lasciarci liberi e così fa, ma la tensione che abbiamo verso di lui è immensa, la vera preghiera non è quella per esigere ma proprio quella per ascoltarci e basta: noi siamo qui, noi siamo uomini, grandi nelle nostre miserie, ricordati che siamo qui”. Ma anche dell’amore con la moglie Daria: “Ogni amore è diverso, la mia e di Daria è una casa forte, solida, incurante alle confluenze di bene e male. Ci teniamo le mani sull’orlo di questa voragine che è la vita, tentando di vederla come una collina fiorita. Ogni tanto uno inciampa e l’altro lo solleva. Ogni tanto di notte (ci sono notti così) non leggiamo bene i nostri contorni, eppure di tempeste ne abbiamo oltrepassate tante. C’è un piccolo segreto tra noi: nei periodi in cui uno di noi due è più forte deve, sopprattutto nelle cose più piccole, dare ragione all’altro. Confesso che io ho contravvenuto spesso alla regola. Lei mai”.
Infine un’ammissione: “Del destino non mi frega più niente. Samarcanda non la scriverei come ieri, cambierei il finale, magari non farei trovare quella nera signora… Noi siamo più forti del destino. Nella vita si può lottare, pezzo per pezzo… E anche vincere“.