Torna periodicamente ad agitare il Pd la cosiddetta questione cattolica. A gennaio fu la vicenda di Anna Maria Bigon, destituita dall’incarico di vicesegretaria provinciale del Pd di Verona perché il suo voto contrario aveva impedito l’approvazione della legge regionale sul fine vita. Un episodio sgradevole, perché se un partito garantisce la libertà di voto sui temi etici, è un controsenso fare marcia indietro. “Voto libero” significa potersi esprimere in aula, non uscire per andare a nascondersi in uno sgabuzzino.

Adesso è la volta della possibile candidatura all’europarlamento di Marco Tarquinio, già direttore del giornale dei vescovi “Avvenire”, un cattolico interprete della linea di Francesco per negoziare la pace in Ucraina. Levata di scudi anti-Tarquinio dell’ala guerraiola del Pd, particolarmente sonora nelle dichiarazioni delle onorevoli Pina Picierno (già Partito popolare e Margherita) e Lia Quartapelle. Gelida e tenace l’opposizione del potente Lorenzo Guerini, pilastro dell’area cosiddetta cattolico-riformista. “La nostra linea sull’Ucraina è stata ed è chiara. Vogliamo forse aprire su un punto su cui siamo uniti in campagna elettorale?” ha dichiarato.

Una dichiarazione formalmente asettica e sostanzialmente minacciosa nei confronti della segretaria Elly Schlein. Gli si potrebbe contrapporre l’affermazione di un altro esponente cattolico piddino, Graziano Delrio: “Basta esami del Dna ai candidati… Tarquinio è un personaggio di assoluto livello…davvero un valore aggiunto per le nostre liste”.

Ma il punto non è passare in rassegna gli opposti proclami. Il problema è capire come si esprime oggi nel Partito democratico il patrimonio cattolico e l’eredità “alta” della visione politica internazionale della Democrazia cristiana. Perché il Pd non è nato (o non dovrebbe) come sommatoria di sigle, ma come confluenza/contaminazione del cattolicesimo democratico e sociale con la tradizione di democrazia sociale del Psi e del Pci, unitamente all’apporto del liberalismo progressista.

Vale la pena qui prendere come esempio di studio Lorenzo Guerini e l’area che rappresenta e a suo modo guida. Guerini ha alle spalle una solida militanza democristiana, la cui cultura gli ha fatto da base nella successiva ascesa a ministro e persino vicesegretario del Pd nella stagione renziana. All’appello di papa Francesco, che evoca gli “aneliti di pace spezzati dalla crudeltà dell’odio e dalla ferocia della guerra” ed esorta a non lasciare che “venti di guerra sempre più forti spirino sull’Europa e sul Mediterraneo”, cosa è stato capace di rispondere Guerini e la sua area? Sono mesi che la tempesta infuria nella Terrasanta, sono due anni che la guerra dilania l’Ucraina. E dalla cosiddetta area cattolico-riformista non esce un contributo originale.

Non è sfuggito all’opinione pubblica che già all’indomani del barbaro attacco di Hamas del 7 ottobre, papa Francesco – condannandolo – poneva con chiarezza la necessità di una convivenza tra due stati: Israele e la Palestina. E meno che mai è sfuggito il singolare parallelismo tra la visione del pontefice e la visione di “due popoli e due stati” enunciata dal presidente statunitense Joe Biden.

Il pensiero corre ai grandi protagonisti democristiani della politica estera italiana: Amintore Fanfani, Giulio Andreotti, Aldo Moro. Personalità che concepivano l’Italia saldamente ancorata al Patto atlantico ma al contempo capace di una sua iniziativa verso il Medio Oriente e verso la Russia. Guardando l’area Guerini è come se questo patrimonio fosse finito in cenere. “Due popoli e due stati”, dice Biden e da quest’area non viene un soffio per ingaggiare una battaglia politica affinché il governo Meloni riconosca la Palestina.

Biden sanziona alcuni capi del movimento dei coloni in Cisgiordania e dall’area G. non viene una parola di denuncia contro i pogrom sistematici che i fanatici coloni razzisti israeliani attuano in Cisgiordania da mesi nei confronti di palestinesi e beduini, attaccandone i villaggi con le ruspe, con le armi, con il fuoco degli incendi.

Biden e il papa chiedono che gli oltre due milioni di abitanti di Gaza non vengano affamati sistematicamente e scientificamente dal governo Netanyahu e nel Pd i sedicenti cattolico-riformisti non riescono a manifestare un impulso politico, un’idea, una proposta. E dire che nel loro partito di origine c’è stato un politico e profeta come Giorgio La Pira, a suo tempo rispettato e non spinto fuori campo.

Anche peggio avviene con la guerra in Ucraina, dove idee e abbozzi di proposte si possono trovare in quel grande calderone che è il mondo dei diplomatici, dei militari, dei politologi, degli intellettuali statunitensi e persino degli ambienti economici vicini a Elon Musk – ma non una spiga cresce nel giardino Guerini dove gli spunti di riflessione, che pure papa Bergoglio ha fornito negli ultimi due anni, vengono semplicemente cestinati.

Sembra impossibile che tocchi al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, evidenziare ciò che non sanno dire i cattolico-riformisti del Pd di fronte all’orrore che va in scena in Medio Oriente: “Coloro (gli ebrei), che hanno sofferto il turpe tentativo di cancellare il proprio popolo dalla terra, sanno che non si può negare a un altro popolo il diritto a uno Stato”. Una frase essenziale, efficace, puro patrimonio politico democristiano. Nell’area G. invece si sta permanentemente seduti in sala d’attesa. Aspettando che da Bruxelles o da Washington arrivi una luce verde. Non è questo che insegnavano De Gasperi e Montini, Moro, Fanfani e Andreotti.

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