Politica

Il terrorismo verbale di Meloni e soci: ‘pacifismo da divano’ non è irridente, ma inquietante

Forse ispirato/a dal suo vero partner politico di sempre – il ministro già mercante d’armi Guido Crosetto; perfetta incarnazione di Gru, il personaggio del cartoon Cattivissimo me – il/la premier, in piena campagna elettorale, scatena dal Libano tutta la sua ferocia da bulletta mannara contro chi intralcia la sua corsa ad accreditarsi nel salotto buono Casa Bianca-Nato-Ue, andando in guerra con l’elmetto calato sul capino.

Ossia i critici di una mattanza senza via d’uscita lungo l’asse Mosca-Kiev, che si rivela sempre di più una lucrosa rendita per politici intenzionati a depistare pubbliche opinioni trasformate in greggi e per gli affaristi del settore materiale bellico. Sicché il meloniano “pacifisti da divano”, rivolto ai critici del nuovo corso “armiamoci e partite” di mussoliniana memoria (che riutilizza l’ignobile retorica del “poltronismo” già all’opera per massacrare i miseri redenti dal reddito di cittadinanza, nella versione italica della guerra dei ricchi contro i poveri), non è soltanto irridente. È qualcosa di più inquietante: il segno di una strategia argomentativa volta all’eliminazione dello spirito critico nel confronto dialettico, criminalizzando chi tenta di praticarlo. Quel mix di manicheismo e Torquemada scaturito dagli alambicchi della semplificazione e dell’intolleranza che pretende di mettere al muro chi non la pensa come i guardiani del “pensiero pensabile” (copy Noam Chomsky).

Nel suo editoriale sull’ultimo numero di Limes, Lucio Caracciolo parla di “deculturazione di massa galoppante nell’Occidente in confusione”. E i casi di uccisione rituale attraverso l’uso terroristico della parola sono sempre di più all’ordine del giorno. Per cui se ti permetti di manifestare dissenso verso la palese pulizia etnica perseguita dal governo Netanyahu, come soluzione finale della questione palestinese, vieni immediatamente bollato da “antisemita”. E guai a dire – quanto del resto anticipato dal membro del Knesset (il Parlamento di Gerusalemme) Ron Katz – che il premier israeliano ha come scopo effettivo quello di radicalizzare il conflitto mediorientale per mantenere in stallo l’azione della magistratura nei propri confronti, al fine di bloccare le tre incriminazioni pendenti sul suo capo (corruzione, frode e abuso di fiducia) e arrivare a una riforma giudiziaria concepita in modo tale da renderlo inattaccabile.

Conferma di un totale rifiuto della parrhesia (la diade verità-potere della saggezza greca) che – tanto per dire – ha interrotto i miei contatti con la comunità ebraica genovese (un tempo aperta e ora spaventosamente sciovinista etnica), in quanto reo non solo di aver definito Benjamin Netanyahu “un nazista”, ma di aver replicato all’allora presidente del circolo Primo Levi, che dichiarava ebraica tutta la cultura del Novecento, “non sapevo che John Maynard Keynes fosse un vostro correligionario”.

Lo stesso abito mentale per cui un batrace in doppiopetto, in veste di ministro della giustizia, può impunemente lenire antiche frustrazioni professionali stabilendo – ope legis – la presenza di gravi tare mentali nei suoi ex colleghi giudici, da individuare sottoponendoli a chilometrici test psichici made in Minnesota (sulla falsariga di quelli a cui venivano sottoposti i replicanti da eliminare in Blade Runner, il film visionario di Ridley Scott). Anche se – nel caso del berlusconiano Nordio – pare evidente il precedente del maestro e mentore Silvio Berlusconi, che dichiarava imbecille l’abbiente che non avesse votato per un partito a difesa dell’impunità quale quello che aveva allestito a propria immagine e somiglianza.

D’altro canto – come giustamente osservava Caracciolo – un fenomeno di certo non solo italiota, visto che in America il parossismo demonizzante era arrivato al punto di indurre moltitudini ad andare all’assalto di Capitol Hill, simbolo della democrazia stelle-e-strisce; e quanto fuoriesce nella nuova campagna presidenziale in corso. In cui il terrorismo verbale è l’iperfetazione della menzogna assassina, che colonizza il discorso pubblico internazionale. Ormai popolato di mentitori seriali. Da Putin a Trump.

Così come va detto che questa malattia del ragionamento – magari annacquata nel politicamente corretto – la si ritrova anche nel campo tradizionalmente a sinistra. Per cui, se ti permetti di muovere un addebito, magari di “entrismo”, all’attuale movimento delle donne – cui la femminista di lungo corso Nancy Fraser contesta l’essere “inglobato nel progetto neoliberista” – vieni subito crocefisso all’accusa infamante di maschilismo. Ennesimo effetto di tempi faziosi, le cui icone sono gli Orban e le/gli Meloni. Nel lungo interregno di cui – personalmente – non riesco a scorgere la consolazione della fine. Vedo solo la causa di questo vizio mentale, che diventa pratica repressiva del differente: “tempi mediocri – scrisse Albert Camus – non possono partorire che profeti delle vuote parole”. Di cui i nostri anni offrono vasti assortimenti.