di Giuseppe Pellicoro*
Buongiorno, sono il papà di un ragazzo con disturbo pervasivo di tipo autistico grave di livello 3, non verbale e non collaborativo.
Mio figlio ha 21 anni e da quando ha raggiunto la maggiore età, lui, e con lui l’intera famiglia, si è ritrovata in uno stato di completo abbandono da parte delle autorità competenti. Le linee guida nazionali per il trattamento dei disturbi dello spettro autistico, solo recentissimamente hanno incluso formule e raccomandazioni per il trattamento degli autistici adulti, pertanto, di fatto, oggi riguardano in maniera concreta solo bambini e adolescenti. Sono stati necessari 11 anni per comprendere che l’autismo è una condizione che non scompare al compimento dei 18 anni, ma continua per tutta la vita. Nonostante l’aggiornamento delle Linee Guida da parte dell’ISS, per un ragazzo autistico il raggiungimento dell’età adulta equivale ancora adesso a cadere nel nulla: le strutture sanitarie di supporto scompaiono, poiché il recepimento delle direttive non è immediato ma richiede del tempo; la scuola finisce; i percorsi terapeutici riabilitativi delle capacità relazionali e comunicative terminano; resta solo un profondo stato di abbandono.
Fino a poco tempo fa, i disturbi legati all’autismo erano collocati, nel nostro Paese, tra i “disturbi pervasivi dello sviluppo” e per questo trattati dalla neuropsichiatria infantile. Raggiunta la maggiore età la cura passava alla psichiatria, dando vita a uno dei tanti paradossi italiani poiché l’autismo non è una malattia mentale, ma una disabilità generica.
Purtroppo, per gli autistici maggiorenni, a cavallo fra vecchia e nuova normativa, la regressione è dietro l’angolo. Ho già sperimentato a mie spese il rimpallo delle competenze fra una struttura sanitaria e un’altra, fra un ente e un altro. Ho sperimentato la confusione che offusca le pertinenze dei diversi soggetti chiamati in causa, con il risultato che mio figlio, prima seguito da professionisti e inserito in programmi educativi appropriati, è ora recluso in casa, e tutti gli sforzi, anche economici, fatti in precedenza, rischiano di essere vanificati. La famiglia resta l’unica risorsa.
A Bari è stato inaugurato lo scorso anno il nuovo Centro Autismo della ASL, con sede nella struttura comunale Colli – Grisoni. Si tratta di una struttura completamente riqualificata, bellissima, che ospita già i servizi della Neuropsichiatria della Infanzia e dell’Adolescenza, ma che non ha ancora attivato – come previsto dal progetto e nonostante le nuove linee guida – percorsi dedicati agli adulti. Tradotto, ciò significa per noi un’altra porta chiusa. Non voglio parlare delle lungaggini burocratiche affrontate per risolvere ogni tipo di percorso medico e riabilitativo, ma oggi, 2 aprile, giornata mondiale della consapevolezza sull’autismo, voglio porre l’attenzione su alcune consapevolezze importanti:
1) Consapevolezza che esistono oggi come venti anni fa, grossi problemi in campo sanitario: lunghe liste di attesa per le cure odontoiatriche, si parla di 8/12 mesi, tanto per fare un esempio, e nessuna corsia preferenziale considerando che quasi tutti gli interventi dentali avvengono, per un autistico, sotto anestesia totale.
2) Consapevolezza che la rete territoriale creata per queste persone, spesso è solo virtuale e manca di personale idoneo alla disabilità. Occorrerebbero fatti concreti, come l’esistenza, nelle strutture ospedaliere principali, di un reparto specializzato nella prestazione di servizi sanitari generici a ragazzi autistici. Voglio sottolineare che solitamente chi è affetto da DSA non è collaborativo, e a volte non è verbale, pertanto è incapace di segnalare dolore e fastidio.
3) Consapevolezza che sarebbe auspicabile l’esistenza di medici che seguano l’autistico dall’infanzia fin oltre l’età adulta, senza cesure al compimento della maggiore età, perché ogni ragazzo autistico ha caratteristiche e capacità proprie e solo un medico che conosce bene il suo percorso può accompagnarlo con dignità nell’età adulta.
4) Consapevolezza dell’esistenza di un’offerta esigua e spesso scarsa qualitativamente.
5) Consapevolezza che esiste un livello 3 di gravità, non molto conosciuto, e molto complesso.
6) Consapevolezza che la ricerca scientifica è la sola via d’uscita, tutto il resto lascia il tempo che trova.
7) Consapevolezza che l’autismo non è una condizione che può essere affrontata in termini di miglioramento solo fino l’età adolescenziale, poiché il cervello umano è in continua evoluzione e con lui le capacità neuronali, e questo vale tanto per i normodotati e per i diversamente dotati
8) Consapevolezza che nonostante l’art. 10 dello Statuto della Regione Puglia – sancito per tutelare e promuove la qualità della vita dei cittadini, con particolare attenzione alle condizioni dei diversamente abili, e per garantire la sicurezza sociale e il diritto alla salute e all’assistenza – nei nostri comuni spesso non esistono neanche aree verdi e spazi ricreativi dedicati ai ragazzi con abilità diverse.
9) Consapevolezza che la catena dell’indifferenza è difficile da spezzare.
10) Consapevolezza che i piccoli cambiamenti, se concreti, possono portare a trasformazioni importanti di inclusione e riabilitazione.
Prendersi cura di una persona autistica in situazione di gravità non è semplice e non è da tutti. Le persone che lavorano con gli individui affetti da autismo dovrebbero avere caratteristiche veramente speciali e il loro lavoro dovrebbe rasentare la missione, perché hanno fra le mani la qualità della vita e le esigenze uniche delle persone con autismo.
Ora vi saluto.
*Un papà impegnato nella lotta contro l’indifferenza e l’abbandono sociale