L’ultimo libro di Daniel Lumera, biologo naturalista ed esperto di scienze del benessere, ci spiega come uno specifico stato mentale permette di superare molto più efficacemente lo stress e raggiungere un profondo senso di calma e fiducia
Oggi non ci si meraviglia più di nulla. Eppure, la meraviglia è ciò che la scienza definisce come “vastità percepita”, un fenomeno che ci porta a comprendere l’immensità di cui siamo circondati, a sentirci interconnessi a ogni cosa e parte del miracolo della vita. Lo stupore della meraviglia rappresenta un elisir di giovinezza fisica e mentale: ci dà la percezione di una vita piena e ricca, e attiva nel cervello il sistema dell’attenzione, preposto a cercare le risorse per gestire gli eventi inattesi, permettendoci di apprendere qualcosa di nuovo. Questo è uno dei temi cardine di “Come se tutto fosse un miracolo. Un cammino per riconquistare leggerezza, felicità, meraviglia”, il nuovo libro del biologo naturalista Daniel Lumera, autore bestseller ed esperto riconosciuto a livello internazionale nelle scienze del benessere e nella pratica della meditazione, edito da Mondadori, dal 2 aprile in libreria. Il titolo del libro si riferisce a un particolare stato di meraviglia, sperimentabile da tutti. È uno stato mentale, facilmente raggiungibile, che permette di superare molto più efficacemente lo stress e il senso di isolamento, alleviare le tensioni e produrre un riequilibrio ormonale e biochimico che genera benessere, calma e fiducia. È uno stato che potrebbe favorire maggiore armonia tra le persone, minori conflittualità come purtroppo stiamo sempre più assistendo in questi tempi a livello internazionale con i conflitti in corso.
Sul tema del libro, da segnalare il seminario “L’esperienza dei sei carismi” con Daniel Lumera e tanti ospiti, tra cui il dottor Franco Berrino: tra teoria e pratica, l’occasione per addentrarsi nelle tematiche affrontate nel nuovo libro. Si terrà il 7 aprile 2024, dalle ore 10 alle 18, presso il Palacongressi di Bellaria Igea Marina (Rimini) e in diretta streaming.
L’ESTRATTO IN ANTEPRIMA ESCLUSIVA
“L’essere umano è in assoluto l’animale più feroce e cattivo che esista attualmente sul pianeta. La nostra capacità di odiare e di schiacciare gli altri esseri senza alcuna empatia non è semplicemente istintuale, né dovuta a mere ragioni di sopravvivenza, ma può arrivare a essere viscerale, deliberata, razionale, premeditata e coltivata pazientemente. È stata spesso una scelta culturale e un collante politico per ottenere consenso. L’essere umano abbocca sempre, e non perde quasi mai l’occasione per odiare: sia che si tratti di odio per i più deboli, indifesi e sfortunati, sia che si tratti di odiare chi odia, chi è ricco, chi ha successo, chi è bello, chi sbaglia, chi è libero e chi è in catene. Odiare serve anche a non sentire la propria pochezza, è una delle migliori fughe dall’incredibile paura che abbiamo di amare, di conoscere la natura dell’amore e di perderci in esso.
A volte ho sentito giustificare quest’odio, questa cattiveria gratuita e questa mancanza assoluta di empatia come fossero elementi necessari alla sopravvivenza e al dominio del pianeta; come principi di difesa e sicurezza. L’odio è un veleno scambiato illusoriamente per potere: crediamo che odiare sia un modo per punire gli altri, quando invece il castigo reale è solo per noi stessi. Se non posso vendicarmi in altro modo, quantomeno ti odio. Fino a cinquecento anni fa abbiamo creduto che il Sole e l’intero universo girassero intorno alla Terra e siamo stati disposti a processare, bruciare e uccidere chi la pensava differentemente, quindi non mi meraviglia che anche oggi, nell’epoca dell’intelligenza artificiale, la mente umana sia ancora strapiena di illusioni nocive per tutte le forme di vita e per se stessa. Con le illusioni, l’ipocrisia, l’ignoranza e la superbia riempiamo le nostre tavole, sfruttiamo la terra e gli altri esseri, costruiamo la narrazione di ciò che viviamo.
Per chi odia, odiare è naturale. Ho visto persone, alle manifestazioni per la pace, sbranarsi con chi dissentiva dalla loro linea di pensiero. La guerra non è mai stata la strada per la pace, e tra le illusioni è quella che ogni volta, ciclicamente, trova giustificazioni in apparenza molto convincenti.
Mi vengono in mente le parole di Bertolt Brecht:
La guerra che verrà non è la prima.
Prima ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente faceva la fame.
Fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.
Eppure nell’essere umano ho visto anche così tanta compassione e amore… ho visto purezza e gentilezza… delicatezza e dolcezza. Possiamo essere demoni e angeli al contempo.
Esiste un’origine comune a tutte le guerre? Dove nasce, in noi?
“Nella pratica meditativa, quando inizi a entrare profondamente nell’ascolto di ciò che senti, accade un fenomeno particolare: prendi coscienza che l’origine della realtà risiede nell’intimità del tuo sentire. È proprio vero, da ciò che sentiamo intimamente di noi e della vita, derivano i nostri pensieri; da questi le emozioni; da esse le reazioni, i comportamenti, le scelte, le decisioni, il carattere e quindi il destino. Vedete come la radice del mondo è sempre interna? E se ci pensiamo un istante, ogni guerra inizia qui, ora, in questo sottile e profondo senso di separazione. Io e tu, non noi, ma io e tu. Tu come altro da me, come straniero separato. Nascono così il senso di differenza e diffidenza, il senso del giusto e dello sbagliato. Nasce così, in questa frattura percettiva che crea senso di separazione, il conflitto per poterci affermare, per non soccombere alla propria debolezza e alla forza altrui. Un conflitto che giustifica la violenza come principio di autoaffermazione.
La radice di ogni conflitto è intima, risiede dentro di noi e deve essere ricercata dunque nella frattura percettiva, nel fatto che “io mi sento separato da te, dalla natura, dallo spazio, dagli altri, dal dolore, dalla morte, dalla vita, dal cancro, dalla guarigione”. Non siamo separati, ma vita della stessa vita. Ed è in nostro potere ristabilire un senso di unità totale, l’unico su cui fondare un cammino di pace.
Ecco perché è così importante rallentare, entrare in sé, contemplare e saper ascoltare la vita in noi. Quello è il seme della pace e la guarigione di questa frattura percettiva.
I processi contemplativi e meditativi dovrebbero essere alla base di una nuova educazione, di un nuovo modo di essere umani. Perché innanzitutto è necessario bonificare il pensiero umano, un pensiero che crea separazione, che ragiona secondo logiche di esclusione”.