L'artista traccia un bilancio dopo mesi di tour mondiali e successi ovunque. Ultima tappa al Madison Square Garden di New York il 6 aprile, dove si esibirà in 5 lingue per festeggiare i suoi 30 anni di carriera oltreoceano
Laura Pausini continua a tenere alta la bandiera italiana nel mondo. Dopo il successo in Sudamerica l’artista per la leg americana della sua tournée e, dopo le date sold out di Houston e Los Angeles, ha proseguito il suo camino ad Orlando, Miami, Chicago, per arrivare all’ultima tappa al Madison Square Garden di New York il 6 aprile, dove si esibirà in 5 lingue per festeggiare i suoi 30 anni di carriera oltreoceano. Un tour iniziato in anteprima nei teatri lo scorso febbraio 2023, che ha toccato le più grandi arene, e proseguirà a novembre e dicembre con l’ultima leg, tornando In Europa, e in Italia, con uno speciale show di Capodanno a Messina, ultima delle tre date previste in Sicilia. Inoltre saranno due gli show a Londra il 4 e 5 novembre e bis anche a Milano 27 e 28 novembre. Salgono così a quota sei le date al Forum nell’arco del 2024.
Qual è il tuo bilancio del tour mondiale?
In termini “emozionali” è stato un viaggio incredibile attraverso Paesi e città, con il calore e l’amore dei miei fan che mi ha accompagnata ad ogni tappa e vedere le mie esibizioni sold out in Italia, Europa, Sudamerica e America dopo trent’anni, è stata un’immensa soddisfazione personale.
Come definiresti questo lungo viaggio?
È stato come un lunghissimo abbraccio da parte del mio pubblico, che mi ha dato e continua a darmi la forza di dare sempre il massimo su ogni palco. Sono grata per questa esperienza straordinaria e non vedo l’ora di continuare a condividere la mia musica il prossimo inverno con durante le nuove tappe italiane ed europee. In termini di numeri so che ai miei concerti quest’anno il pubblico ha superato il 25% in più rispetto alle tournée mondiali passate e non posso che sentirmi lusingata: raggiungere questi numeri dopo trent’anni non è per niente scontato, anzi!
Com’è stata l’accoglienza nei Paesi latinoamericani con migliaia di persone che sono accorse ai tuoi concerti?
Certo, i numeri non sono quelli dell’Italia dove ancora oggi posso contare sul dato di presenze più alto a livello di pubblico, ma per me il legame con il pubblico latino è un legame familiare. Sin dai miei primi passi nel mondo della musica fuori dall’Italia, ho sempre sentito un’affinità speciale con questa cultura, e dopo trent’anni posso dire che questa gente non mi ha solo accolta, ma adottata.
Dopo anni come si riesce a mantenere un rapporto con il pubblico latino, ancora così saldo?
Penso che la chiave per mantenere questo rapporto saldo nel corso fiducia reciproca e la fedeltà da parte mia a ciò che sono e che in cui loro si sono riconosciuti. Ho sempre cercato di rimanere fedele alle mie radici e il mio cuore italiano. Allo stesso tempo, ho abbracciato e onorato la cultura latina, sia nella mia musica che nei miei spettacoli, nel modo più naturale possibile. A loro devo qualcosa e quando sono in quei Paesi il mio istinto mi porta ad avvicinarmi sempre di più a quello che è il loro mondo, fatto di colori, suoni, profumi, sensazioni che si trovano solo là. E i miei concerti ne risentono, c’è sempre un dettaglio, un omaggio, una particolare scelta di outfit, un tributo in scaletta, è il mio modo di restituire anche solo in parte quello che sento e so di aver ricevuto.
Molti dei tuoi momenti durante lo show sono diventati virali per la tua spontaneità e ironia. Che impressione ti ha fatto?
I momenti che sono diventati virali hanno in comune la non volontà di farli diventare tali. Accade perché sono una persona spontanea e davvero non mi rendo conto soprattutto quando sono su un palco di cosa istintivamente dico o di come reagisco a quello che di estemporaneo accade.
Ad esempio?
Quando mi è capitato di rimproverare in un concerto italiano un mio fan che era sempre al telefono (per poi scoprire che stava cercando informazioni su una delle mie bravissime coriste), o l’episodio del prete che aveva fatto uno striscione con scritto ‘Dopo la Madonna e Gesù ci sei tu‘ (e non potevo non invitarlo sul palco a cantare le mie canzoni di chiesa preferite), oppure come ho reagito quando Biagio Antonacci mi ha fatto una sorpresa bellissima al Forum di Milano. Ma anche le reazioni del pubblico a momenti non ironici, più emotivi come il mio invito a chiamare qualcuno a casa per vivere insieme un’esperienza di canto collettivo a distanza, o quando invito tutti a riflettere sull’importanza di prestare attenzione a chi abbiamo intorno e che può aver bisogno di noi, come chi è vittima di violenze.
Cosa rappresentano per te tutti questi momenti?
In generale, per me è importante creare un’esperienza autentica e memorabile per chi viene ai miei concerti, e se posso far sorridere o emozionare ma anche riflettere qualcuno con un gesto o una battuta, allora ritengo di aver raggiunto il mio obiettivo. Se poi questi diventano virali e fanno sorridere o emozionare anche persone che non erano fisicamente presenti, tanto meglio! Per questo sui miei social rispetto al passato si è allargato lo storytelling dei miei show, facciamo vedere sempre più momenti più cose, è una scelta. Voglio cantare per tutti, indipendentemente da dove si trovano.
Sei la bandiera italiana della musica nel mondo. Senti il peso della responsabilità?
Essere considerata la bandiera italiana della musica nel mondo è un onore immenso e allo stesso tempo un grande impegno. Mi rendo conto della responsabilità che questa posizione comporta, qualunque cosa io faccia non rappresento mai solo me stessa, ma anche il mio Paese e la sua cultura attraverso la mia musica. Cerco però di non sentire il peso di questa responsabilità come un fardello, ma piuttosto come un’opportunità per diffondere un messaggio di amore, speranza e unità attraverso le mie canzoni. È un privilegio poter portare la bellezza e la ricchezza della musica italiana in ogni angolo del mondo e sono sempre stata determinata a farlo nel migliore dei modi. Sento la responsabilità di poter influenzare le persone, i miei fan, e cerco quindi di stare sempre molto attenta a cosa dico e scrivo, non per nascondere ciò che penso ma per dare il mio contributo prestando il mio palcoscenico e la mia voce a quelli che possono essere messaggi che ritengo giusti, positivi e da diffondere. Così sento di fare anche io la mia parte.
Cosa dobbiamo aspettarci dai concerti del World Winter Tour, ci stai già pensando?
Ho lavorato tantissimo perché questo show fosse nei minimi particolari lo specchio di ciò che sono, che mi rappresentasse, e sarà così anche a novembre e dicembre. Sarà ancora una volta uno show fatto di canzoni, coreografie, scenografie, arrangiamenti, disegni di luci e laser, che insieme alla mia voce possano creare un momento, uno spazio, per far sentire il pubblico amato, incluso, sicuro, parte di qualcosa di irripetibile, e attraversato da un’emozione da portare a casa e ricordare. Qualcosa di nuovo ci sarà sicuramente, oltre alla serata finale di Capodanno che avrà un medley di una mezz’ora a cui sto lavorando per festeggiare non solo il nuovo anno ma la fine di un tour pazzesco.
Avevi preannunciato alla presentazione del disco Anime Parallele, che dopo il tour saresti stata impegnata in un nuovo progetto. Cosa puoi anticiparci?
Al momento rimango concentrata sul tour americano, che mi sta regalando infinite soddisfazioni. Cantare negli States per me è sempre sfidante perché ogni città americana è diversa, ha un pubblico di diversa cultura e gusto musicale. Lavoro moltissimo sulle scalette, cerco di mixare le lingue in cui canto le mie canzoni, anche a seconda di quello che penso possano gradire di più ed è un esercizio veramente stimolante. In America conoscono la mia musica in italiano ma anche in inglese grazie al disco che ho fatto per gli Stati Uniti anni fa, vivendo e registrando lì con produttori americani, quindi in ogni concerto cerco di inserire alcuni brani in inglese e sentire il pubblico cantare insieme in tutte le lingue è una delle emozioni più forti e dei più grandi privilegi di fare un tour mondiale, mi dà una carica pazzesca.
Si fa sempre il tuo nome per un ipotetico Festival di Sanremo. Ma hai sempre smentito. Ci hai mai seriamente pensato?
Ogni anno, non fa in tempo a finire il Festival di Sanremo che scattano subito i toto-nomi dei conduttori, co-conduttori, superospiti e possibili ospiti per l’edizione dell’anno successivo e puntualmente salta fuori il mio nome. Penso sia molto divertente e mi lusinga anche pensare che ogni anno qualcuno speri che arrivi il mio turno di condurre. Sanremo è una macchina estremamente complessa, che richiede un lavoro altrettanto lungo e complesso, soprattutto per chi ricopre il ruolo di conduttore e di direttore artistico.
Lo escludi categoricamente per il futuro?
Per quelli che sono i miei calendari al momento non potrei neanche prenderlo in considerazione, non avrei il tempo adeguato per prepararmi e per fare un lavoro degno delle aspettative, sia mie personali che del pubblico.
Nel campo delle ipotesi e della fantasia, come sarebbe il tuo Festival?
Per me il Festival ideale è quello che riesco a godermi, e io sinceramente me lo godo alla grande quando riesco a vederlo a casa con la mia famiglia e miei amici.
Dal punto di vita musicale cosa ti è piaciuto degli ultimi Festival?
Mi piace che stia diventando sempre più largo in termini di generi musicali, tanto che non si può più parlare di puro genere “sanremese” e che anche le generazioni più giovani se ne stiano di nuovo appassionando come appassionava noi da piccoli e i nostri genitori. È un fenomeno bellissimo da seguire e che dà grande vanto al nostro Paese. Amo quel palco e lo amerò sempre, ma resta il palco che temo di più al mondo, quello delle gambe che tremano e la voce quasi rotta dalla paura. Quindi lo amo più a distanza.
Dopo dieci anni ha vinto una donna a Sanremo, Angelina Mango. Ci rappresenterà all’Eurovision. Pensi che “La Noia” possa giocarsela per il podio?
Sono felice di vedere che dopo dieci anni un’artista giovane abbia vinto il Festival di Sanremo! Sono felice perché ha talento, aldilà che sia una donna. Mi piace molto Angelina e sono sicura che rappresenterà l’Italia all’Eurovision Song Contest con grande forza e passione. Ha una voce pazzesca, ha dimostrato di essere perfettamente a suo agio sul palco, ha fatto un Sanremo straordinario, è ancora giovanissima ma ha la ‘cazzimma’, insomma… Tutte le carte in regola per rappresentare al meglio il nostro Paese. Quanto alla possibilità che “La Noia” possa giocarsi il podio, penso che dipenda da molti fattori ed è difficile fare previsioni, ma credo abbia buone chances di essere ascoltata in tanti Paesi, e questo è l’obiettivo principale. Posso sicuramente dire è che sarò a tifare per Angelina Mango e per l’Italia durante le serate!
Si è parlato dell’ipotesi di un “protocollo di intesa contro i testi violenti del rap”. Credi possa essere la soluzione?
Credo che sia importante affrontare il tema dei testi violenti nella musica rap e trap con una certa sensibilità. Bisogna essere consapevoli che la musica è un mezzo potentissimo, forse tra i più potenti, e crea emulazione, consenso, può addirittura formare una coscienza acerba. Ogni artista è responsabile di ciò che decide di scrivere e cantare in un testo e la scelta delle tematiche ma anche delle singole parole deve avere un peso maggiore.
Vale anche per i social e i media?
Certo, perché viviamo un mondo che fino a pochi anni fa non esisteva e che ha cambiato il nostro modo di comunicare e relazionarci, e come tutti i grandi cambiamenti storici bisogna prendere le misure per ‘guidare’ dei mezzi di questa portata. È importante educare il pubblico, in particolare i giovani, a sviluppare un senso critico nei confronti della musica e dei media in generale, in modo che possano comprendere meglio il contesto e le implicazioni di ciò che ascoltano e trascendere dai significati letterali e negativi che a volte si trasmettono.