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Talpa in procura a Roma, i pm chiedono 6 anni e mezzo per la praticante avvocato Camilla Marianera

Talpa in procura a Roma, i pm chiedono 6 anni e mezzo per la praticante avvocato Camilla Marianera
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Sei anni e mezzo di carcere. È la condanna chiesta dalla Procura di Roma per la praticante avvocato Camilla Marianera, accusata di corruzione in atti giudiziari per avere ottenuto tangenti in cambio di notizie coperte da segreto istruttorio. Un processo scaturito dall’inchiesta su una presunta talpa all’interno dell’ufficio giudiziario capitolino. Il pm al termine della requisitoria ha chiesto l’attenuazione della misura cautelare sollecitando per Marianera i domiciliari. La Procura ha anche chiesto l’invio degli atti per falsa testimonianza per un medico che avrebbe garantito all’imputata un falso alibi. Il 15 marzo scorso il suo compagno, Jacopo De Vivo, è stato condannato in abbreviato per la stessa accusa a 5 anni di carcere.

La donna di 28 anni era stata arrestata, insieme al compagno, nel febbraio del 2023. Secondo l’accusa, dal 2021 al dicembre 2022, i due “erogavano utilità economiche a un pubblico ufficiale allo stato ignoto, appartenente agli uffici giudiziari di Roma e addetto all’ufficio intercettazioni, perché ponesse in essere atti contrari ai doveri del suo ufficio, consistenti nel rilevare l’esistenza di procedimenti penali coperti dal segreto, l’esistenza di intercettazioni telefoniche, ambientali e telematiche, atti remunerati mediamente nella misura di 300 euro a richiesta”. Notizie che poi – secondo quanto ricostruito dalla procura – attraverso le conoscenze del suo compagno De Vivo venivano “consegnate” anche a persone vicine al clan Casamonica.

Nella requisitoria il procuratore aggiunto Paolo Ielo ha sottolineato come in “questo processo è stato costruito un alibi falso mentre Marianera era in carcere, un fatto che dimostra che attorno all’imputata c’è una rete di solidarietà criminale”. Ielo ha evidenziato anche il punto relativo al “bollino rosso“, una caratteristica in uso solo nella sala intercettazioni della Procura di Roma e conosciuto solo dalle persone interne a quell’ufficio, che indicava la fine di intercettazioni o di servizi di osservazione. ”Questo bollino rosso è l’impronta digitale – ha sottolineato Ielo in aula – che ci consente di dire che le è stato riferito da un pubblico ufficiale che era nella sala intercettazioni”.

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