Giustizia & Impunità

Amministrazione giudiziaria per la Armani operations: “Non ha impedito il caporalato”. Il gruppo: “Sempre attuate misure di controllo”

La borsa di pelle con il logo Armani costa 1800 euro. Ma ad assemblarle sono operai cinesi, che lavorano in nero in opifici abusivi per 2 o 3 euro all’ora: in questo modo quella stessa borsa viene pagata 75 euro dai fornitori ufficiali che la rivendono alla società principale per 250. È quello che è emerso dalle indagini dei carabinieri che hanno portato la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano a disporre l’amministrazione giudiziaria per la Giorgio Armani operations spa, società che si occupa di progettazione e produzione di abbigliamento e accessori del gruppo del colosso della moda. L’inchiesta è coordinata dal pm Paolo Storari e Luisa Baima Bollone ed è condotta dai militari del Nucleo Ispettorato del Lavoro. L’indagine riguarda un caso di presunto sfruttamento del lavoro, attraverso l’utilizzo negli appalti per la produzione di opifici abusivi e il ricorso a manodopera cinese in nero e clandestina.

La società: “Sempre vigilato su abusi” – Si tratta di una misura di prevenzione, dunque la Giorgio Armani Operation spa – che è controllata totalmente dalla Giorgio Armani spa – non risulta indagata. Come non risulta indagato lo stilista, oggi 89enne, considerato tra gli uomini più ricchi d’Italia. Il collegio dei giudici Paola Pendino, Maria Gaetana Rispoli, Giulia Cucciniello ha nominato Piero Antonio Capitini amministratore giudiziario della società per un anno. Un provvedimento adottato quando si ritiene che una società abbia agevolato – seppur in maniera solo colposa – l’attività di persone indagate per lo sfruttamento del lavoro. “Apprendiamo della misura di prevenzione decisa dai Tribunali di Milano nei confronti della Giorgio Armani Operations. La società ha da sempre in atto misure di controllo e di prevenzione atte a minimizzare abusi nella catena di fornitura. La Giorgio Armani Operations collaborerà con la massima trasparenza con gli organi competenti per chiarire la propria posizione rispetto alla vicenda”, recita una nota del gruppo.

“Mai verificata la reale capacità produttiva degli appaltatori” – Secondo gli investigatori la Giorgio Armani operations spa è “ritenuta incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento lavorativo nell’ambito del ciclo produttivo non avendo messo in atto misure idonee alla verifica delle reali condizioni lavorative ovvero delle capacità tecniche delle aziende appaltatrici tanto da agevolare (colposamente) soggetti raggiunti da corposi elementi probatori in ordine al delitto di caporalato”. I carabinieri spiegano che “la casa di moda affidi, attraverso una società in house creata ad hoc per la progettazione, produzione e industrializzazione delle collezioni di moda e accessori”, cioè la Giorgio Armani operations spa, “mediante un contratto di fornitura, l’intera produzione di parte della collezione di borse e accessori 2024 a società terze, con completa esternalizzazione dei processi produttivi”. Questa società esterna, però, “dispone solo nominalmente di adeguata capacità produttiva e può competere sul mercato solo esternalizzando a sua volta le commesse ad opifici cinesi, i quali riescono ad abbattere i costi ricorrendo all’impiego di manodopera irregolare e clandestina in condizioni di sfruttamento”. Tradotto: il fornitore scelto dalla Giorgio Armani operations non ha i mezzi per produrre i prodotti finiti e quindi esternalizza a laboratori cinesi che sfruttano i lavoratori. Nel provvedimento di 31 pagine firmato dai giudici si legge che “il meccanismo è stato colposamente alimentato dalla società che non ha mai verificato la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici, alle quali affidare la produzione”.

“Sistema che va avanti dal 2017: operai pagati 2/3 euro l’ora” – Gli investigatori parlano di un presunto “sistema” che avrebbe permesso “di realizzare una massimizzazione dei profitti inducendo” l’opificio cinese “che produce effettivamente i manufatti ad abbattere i costi da lavoro (contributivi, assicurativi e imposte dirette) facendo ricorso a manovalanza in nero e clandestina, non osservando le norme relative alla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro nonché non rispettando i Contratti Collettivi Nazionali Lavoro di settore riguardo retribuzioni della manodopera, orari di lavoro, pause e ferie”. Nel provvedimento si sottolinea come non si tratti di “fatti episodici” ma di un “sistema di produzione generalizzato e consolidato” che riguarda diverse “categorie di beni”, come “borse e cinture”, e che “si ripete, quantomeno dal 2017 sino ai più recenti accertamenti dello scorso febbraio” con la produzione “della merce a marchio Giorgio Armani” realizzata “in concreto” da “opifici cinesi”. I giudici scrivono che la produzione negli opifici abusivi cinesi era “attiva per oltre 14 ore al giorno, anche festivi“, con lavoratori “sottoposti a ritmi di lavoro massacranti” e con una situazione caratterizzata da “pericolo per la sicurezza” della manodopera, che lavorava e dormiva in “condizioni alloggiative degradanti“. E con paghe “anche di 2-3 euro orarie, tali da essere giudicate sotto minimo etico”.

Le indagini dei carabinieri – A partire da dicembre 2023 i militari hanno effettuato “accertamenti sulle modalità di produzione, confezionamento e commercializzazione dei capi di alta moda procedendo al controllo dei soggetti affidatari delle forniture nonché dei sub affidatari non autorizzati costituiti esclusivamente da opifici gestiti da cittadini cinesi nella provincia di Milano e Bergamo”. Sono stati controllati quattro opifici “tutti risultati irregolari nei quali sono stati identificati 29 lavoratori di cui 12 occupati in nero e anche 9 clandestini“. Negli stabilimenti di produzione effettiva e non autorizzata è stato riscontrato che la lavorazione avveniva “in condizione di sfruttamento (pagamento sotto soglia, orario di lavoro non conforme, ambienti di lavoro insalubri), in presenza di gravi violazioni in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro (omessa sorveglianza sanitaria, omessa formazione e informazione) nonché ospitando la manodopera in dormitori realizzati abusivamente ed in condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico”. Sono indagati per caporalato quattro titolari “di aziende di diritto o di fatto di origine cinese” e nove “persone non in regola con la permanenza e il soggiorno”. Infine, sono state comminate “ammende pari a oltre 80.000 euro e sanzioni amministrative pari a 65.000 euro e per 4 aziende è stata disposta la sospensione dell’attività per gravi violazioni in materia di sicurezza e per utilizzo di lavoro nero”.

“Serve tavolo sul settore moda” – L’amministrazione giudiziaria eseguita oggi, spiega il presidente del Tribunale di Milano Fabio Roia, si verifica “senza impossessamento degli organi amministrativi consentendo quindi alla società la piena operatività sul piano imprenditoriale”. Si tratta di una misura disposta “anche in aiuto alla realtà aziendale la quale dovrà, sotto il controllo del Tribunale, procedere ad un programma di riqualificazione degli assetti organizzativi interni idoneo a prevenire situazioni, nella filiera degli appalti e dei fornitori in generale, come quella accertata di sfruttamento dei lavoratori in fattispecie di reato, riconducibili a terzi estranei alla società”. La società manterrà pertanto, si legge ancora nel comunicato di Roia, “una piena operatività imprenditoriale ed una affidabilità di mercato addirittura rafforzata dalla presenza del Tribunale finalizzata soltanto alla realizzazione delle prescrizioni operative indicate”. Roia spiega che il tribunale ha rilevato come “la società non abbia mai effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione dalle stesse adottate e che sia rimasta inerte pur venendo a conoscenza dell’esternalizzazione di produzioni da parte delle società fornitrici”. E avrebbe omesso “di assumere iniziative come la richiesta formale della verifica della filiera dei sub-appalti o di autorizzazione alla concessione dei sub-appalti, sino alla rescissione dei legami commerciali, con ciò realizzandosi, quantomeno sul piano di rimprovero colposo determinato dall’inerzia della società, quella condotta agevolatrice richiesta dalla fattispecie ex art. 34 D.Lvo 159/2011 per l’applicazione della misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria”. Secondo il presidente del Tribunale di Milano “sarebbe opportuno avviare, riattivando analoghe iniziative poste in essere per esempio nel settore della logistica da parte della Prefettura di Milano, un tavolo che consenta in via ulteriormente preventiva di cogliere le criticità operative degli imprenditori della moda che costituisce un settore di mercato di particolare rilevanza per il sistema economico nazionale”. L’inchiesta sulla Armani s’inserisce in un filone di indagini aperto dalla Procura di Milano sullo sfruttamento del lavoro. Il pm Storari ha già ottenuto l’amministrazione giudiziaria per grandi aziende di trasporti, logistica, servizi di vigilanza e altri settori. Ora sta approfondendo il mondo della moda. Nei mesi scorsi era stata commissariata dal Tribunale la Alviero Martini spa ed era emerso uno schema simile a quello venuta a galla oggi.