“Rivedi il secondo giorno dei tuoi funerali. Donne che cantano, ballano e piangono intorno a te, tanto affascinanti che perdi l’abituale imperturbabilità delle salme. A stento trattieni la voglia di alzarti dal letto di morte, di cingere con il braccio la vita della più bella ed eseguire con lei la famosa danza dei Bembé, il Muntutu.”
Tra flashback e aneddoti vari, Liwa ripercorre la propria vita e quella della collettività intorno a lui, creando un indimenticabile spaccato di Pointe-Noire e della sua gente, un ritratto che rivendica la lotta di classe e l’appartenenza a qualcosa di concreto. Una storia costruita in modo molto simile a Le sette lune di Maali Almeida, di Shehan Karunatilaka (anche nella storia dell’autore cingalese la narrazione è in seconda persona e il protagonista è morto e non sa perché, e anche nel libro di Karunatilaka c’è una sottotraccia con un messaggio politico ben definito). Tra i tanti romanzi di Alain Mabanckou, Sdraiati in affari è, a mio avviso, uno di quelli più strutturati e riusciti.
“Senza i cronisti di pugilato, il mio amore per Muhammad Ali non sarebbe sbocciato. Potreste dire che mi innamorai della scrittura più che del pugilato. Dopotutto, non ho mai visto Ali tirare di boxe. Tutto ciò che sapevo su di lui mi giungeva dalla radio; era tutto di seconda mano, sulla pagina.”
Grazie a questa mancanza, Joe imparerà la potenza della carta stampata e delle voci alla radio, parole e toni che lo porteranno all’infatuazione totale per Cassius Clay/Muhammad Ali, tanto da fargli raccogliere, per anni, ritagli di giornale dedicati al pugile statunitense che diviene, nel romanzo, il pretesto per raccontare la storia del Sudafrica e il razzismo strisciante che lo percorre, con i suoi orrori e le sue stupidità ataviche.
“Io mi chiamo così per via di un cavallo da corsa. L’ho saputo fin da piccolo e lo consideravo un segno di distinzione. A mio padre non feci molte domande su Gerald l’equino. Dopo la sua morte, comunque, venni a sapere da uno dei suoi fratelli che il mio eponimo da giovane era stata una promessa ma in seguito si era rivelato una tale delusione che i suoi proprietari lo avevano venduto.”
Bipede sedentario, Murnane, ha scritto dell’Australia, e della sua avversità per lo spostamento fisico, prendendo come icona il cavallo, animale per eccellenza della corsa e del movimento. L’autore trova nel mondo dell’ippica ciò che la religione e qualsiasi altra istituzione non avrebbe mai potuto dargli, analizza la psicologia degli habitué degli ippodromi, narra la sua vita di non cavallerizzo e sviluppa in forma letteraria le sensazioni provate durante le gare. Con una scrittura ipnotica, informale e lontana dall’adulazione per un modello mainstream, Murnane ha scritto un libro intenso e originale.