di Davide Trotta

La mia esperienza di docente vittima di stalking per mano dell’ex preside dell’istituto Sommeiller di Torino ha avuto inizio cinque anni fa. Rievocare oggi questa vicenda e ripercorrerne gli snodi principali mi sembra utile, oltre che per manifestare vicinanza alle vittime di stalking/mobbing in ambito lavorativo che non hanno avuto il coraggio di denunciare o che, a seguito di denuncia, si sono inevitabilmente poste su un sentiero accidentato, anche per gli sviluppi surreali che il mio caso ha avuto.

La mia vicenda muove dal febbraio 2018 in occasione di un’inusuale visita ispettiva in classe dell’allora preside Giovanni Paciariello che, come riportato da diverse cronache nazionali, mi sottopose a una serie di domande al cospetto degli studenti: un’interrogazione in piena regola da lui dissimulata sotto la veste di una spiegazione che io avrei dovuto rivolgere alla classe. “Spieghi alla classe perché è utile studiare ancora oggi Boccaccio” questa la richiesta di Paciariello, che dal pulpito della sua laurea in Giurisprudenza rivendicava pretese letterarie su di un docente laureato in Lettere, fresco di abilitazione all’insegnamento. Da servitore dello Stato ossequioso verso un superiore e da persona disponibile al dialogo, rispondo al suo invito a spiegare alla classe l’importanza odierna di Boccaccio: le mie argomentazioni, peraltro travisate, non convincono il preside, che mi invita a spiegare di nuovo e di nuovo ancora. Studenti attoniti, sbigottiti tra l’arroganza del preside e il mio imbarazzo. Nemesi storica: il professore, che ti interroga, ora viene interrogato.

Le mie risposte non soddisfano i suoi parametri di fine esegeta: alla terza “bocciatura” mi rifiuto di proseguire l’interrogazione. Il preside furente s’alza, mi punta l’indice contro e tuona “non fare il furbo con me”. “Le sue lezioni sono aria fritta” questo il giudizio lapidario dell’umanista Paciariello. Ricompensa immediata: contestazione d’addebito consegnatami il giorno seguente. Il motivo? Gli avrei impedito di effettuare la sua attività di vigilanza sulla qualità della didattica “dopo aver fornito due risposte assolutamente non convincenti”. Paradosso, ma anche contraddizione: ostacolo la sua attività di controllo, eppure alle sue domande fornisco risposte, da lui stesso bollate come “non convincenti” nella lettera d’addebito.

Umiliato, frustrato, mi rivolgo al sindacato Cub: la notizia divampa sui giornali, ma il giorno stesso – pura combinazione! – divampano anche altre due contestazioni d’addebito vergate dal preside. Inadempienze gravissime: ho accettato verifiche prive delle date o dei nomi segnati dagli studenti, oppure ancora verifiche scritte a matita. In breve divento prof dei guinness: in una decina di giorni riesco a maturare un totale di quattro contestazioni d’addebito, culminate dopo mesi in due giorni di sospensione da lavoro con trattenuta di stipendio. Si accentuano i problemi di salute, basta, denuncio: circa un anno dopo inizia il processo, udienze, altre notti insonni, malessere accumulato. Alla fine la sentenza di primo grado: Paciariello condannato a nove mesi di reclusione, oltre al pagamento di una provvisionale e delle spese processuali. “Ho vinto”, ma a che prezzo: esistenza segnata.

Mai domo, l’ex preside, non avendo più potere disciplinare su di me, negli anni prova ad affossarmi sul piano penale con le accuse più fantasiose: denunce tutte archiviate.

Le aule di tribunale, dunque, finora hanno riconosciuto la colpevolezza di Paciariello; nelle stanze ministeriali invece sembrano non avergli voltato del tutto le spalle. Scopro infatti che nella composizione attuale del Comitato Unico di Garanzia – volto a tutelare i lavoratori da episodi discriminanti e mobbizzanti nelle pubbliche amministrazioni – istituito dall’Ufficio Scolastico Regionale del Piemonte, figura – ironia o beffa della sorte – nientemeno che il nome di Giovanni Paciariello tra i designati delle organizzazioni sindacali.

Sarebbe interessante conoscere i criteri con cui è stato selezionato il suo nome: forse la condanna in primo grado a nove mesi per stalking nel processo in cui io compaio come parte offesa? Oppure un’altra condanna, sempre alla reclusione per stalking – questa volta nei confronti di una suora 70enne, come riportato da diverse cronache nazionali? Oppure ancora una condanna del Giudice del Lavoro a risarcire un operatore scolastico sempre per condotte mobbizzanti a suo carico? Insomma, mobbing a un operatore scolastico, stalking a una suora e a un docente: così si presenta chi dovrebbe stanare gli autori di mobbing.

Dal curriculum penale e non dell’ex preside mi sembra emerga una netta incompatibilità con questo incarico delicato, inteso a risanare ambienti di lavoro intossicati dai comportamenti vessatori dei superiori. A questo punto mi viene da chiedere con quale credibilità si possano affrontare lotte così importanti, affidandole a un personaggio che il Tribunale di Torino ha ripetutamente condannato per lo stesso reato: quel mobbing/stalking su cui ora egli avrà il compito di esprimersi.

Lavorare per lo Stato è un onore, lavorare nel settore dell’istruzione è per me un privilegio, perché uno dei settori cruciali del nostro Paese. Noi possiamo dobbiamo vogliamo parlare agli studenti di legalità, di onestà, ma a questo punto ci rammarica non poter garantire loro di trovare questi principi applicati fuori dall’aula.

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