Questa storia inizia a Milano, esattamente dal MIA Photo Fair, salone internazionale di fotografia e arte. Ci andai quasi per caso nel 2022 e tornerò a breve, all’edizione che verrà. Quell’anno rimasi colpita da alcune immagini un po’ nascoste dell’artista e fotografa Libera Mazzoleni: erano immagini delle baracche dei bordelli dei campi di concentramento. Poco si parla di questo aspetto e da lì ho iniziato ad approfondire.
Nel toccante film La zona di interesse, una giovane ragazza entra nell’ufficio del comandante di Auschwitz. Mentre lui è al telefono, lei si siede e si scoglie la magnifica chioma. Forse una polacca, vestita di tutto punto, con una borsetta elegante che si tiene ben stretta. Sembra una sequenza scontata, poco importante. Il gerarca e la prostituta al suo servizio. Nessuno si immagina cosa ci sia dietro quella scena.
Da Milano la storia prosegue a Ravensbrück, tappa organizzata dopo aver fatto ricerche e letto “I bordelli di Himmler” di Alakus, Kniefacz, Vorberg (ed. Mimesis). In un’ora di treno da Berlino sono arrivata a Fürstenberg/Havel, cittadina sul lago Schwedt. Dalla stazione ho deciso di raggiungere a piedi quello che fu il campo di concentramento femminile da cui venivano “smistate” le schiave sessuali.
E’ ottobre, una giornata grigia. Lungo il tragitto nessuno. Ci si addentra in un bosco con tante querce secolari. La stessa strada delle deportate che mai avrebbero pensato dove fossero finite. Ho cercato di immedesimarmi, immersa in quel silenzio di natura rigogliosa. Arrivando al campo, ecco il nucleo di edifici che a suo tempo erano alloggi per le guardie femminili: oggi sono un ostello della gioventù e un centro di incontro per giovani. Mai dormirei in un luogo con una energia così potente, ma i giovani portano linfa, amore, vita. Dopo una prima stridente sensazione, ho pensato che sia stato meglio così.
Dietro al grande edificio grigio del memoriale, sulle rive del lago, un cartello ammonisce silenzio e rispetto: le ceneri delle deportate, sterminate e cremate venivano gettate in quel luogo. D’istinto ho guardato dove appoggiavo i piedi. Riposate in pace tra i fiori e i prati soffici, sorelle.
La sede degli ex uffici delle SS ora è un percorso museale a racconto: tante stanze, lungo il corridoio in cui pare di sentire ancora il rumore degli stivali neri e i passi del terrore, raccontano ciò che avvenne a Ravensbrück. Ed è della situazione femminile in cui mi immergo. “Nella memoria storica ufficiale, i campi di concentramento sembrano essere esclusivamente maschili. Il lavoro di ricerca sulla prospettiva femminile non iniziò che diversi decenni dopo la fine della guerra. Per lunghi anni, tale connotazione maschile si fece sentire anche sulla raffigurazione dei monumenti commemorativi, tanto che a lungo si continuò a non segnalare che nei campi di concentramento di Sachsenhausen, Buchenwald ecc. esistevano anche lager femminili” (pag. 83 del libro).
Provo a chiudere gli occhi, a pensarmi ventenne, in salute e vezzosa. Mi fanno deporre la valigia, mi vengono strappati i vestiti, mi mettono in piedi su un tavolo dove una donna mi tiene ferma ed un’altra ti infila le dita in tutti gli orifizi. Poi mi radono capelli, ascelle, peli pubici con un rasoio sporco e arrugginito. Le condizioni inumane fanno sì che anche le mestruazioni si blocchino. Chi ha ancora il ciclo non ha sapone, asciugamani, pannolini. E il sangue cola tra le cosce. Si viene picchiate per questo. Molte di noi vengono sterilizzate e molte, per questo, sono morte. Il medico tedesco e professore di ginecologia Carl Clauberg, cercava un metodo economico e veloce per la sterilizzazione di massa: pensò di inoculare, senza anestesia, nelle tube di Falloppio un liquido corrosivo che portava donne e ragazze a impressionanti infezioni.
I primi bordelli furono istituiti a Mauthausen e Gusen tra il 1941 e il 1942. Himmler riteneva che lo sfruttamento della prostituzione potesse risolvere il problema della poca produttività del lavoro forzato. Insomma, la schiavitù sessuale era un incentivo e creava vantaggi a chi lavorava di più.
Continuo a camminare nel museo e visito la stanza in cui trovo informazioni sui bordelli. Le ragazze erano principalmente ex prostitute deportate, ma c’era un criterio di ammissione per essere reclutate. Oltre al bell’aspetto, dovevano essere giovani, maggiorenni, con esperienza e non dovevano avere malattie veneree. Spesso venivano violentate durante la procedura di ammissione.
Sopportavano crudeltà nella speranza di una vita migliore: un bagno caldo, una zuppa, un abito civettuolo, le iniezioni di calcio. Non sapevano però che la vita dal campo al bordello, spesso riservava aspetti atroci. Non si usavano preservativi, solo lavande all’acido lattico dopo ogni rapporto. A volte rimanevano incinte e venivano sottoposte in modo crudele ad aborti obbligati. La durata dell’incontro sessuale era deciso dalle SS e tendenzialmente durava dieci minuti. Ogni giorno avevano dai dieci ai quaranta rapporti. Ecco perché mediamente ogni sei mesi c’era il ricambio di donne: tornavano a Ravensbrück rovinate, psicologicamente distrutte, malate.
Torno a pensare alla bella ragazza dei capelli lunghi del film di Jonathan Glazer: chissà se sarà sopravvissuta, se tornando a casa sarà stata umiliata, disprezzata, se avrà raccontato di essere stata schiava sessuale nella speranza di non morire, o sarà rimasta nel silenzio per paura e vergogna. “Solo nel 1995 durante la riorganizzazione delle esposizioni dei memoriali nei campi di concentramento per il 50° anniversario della liberazione, si iniziò finalmente almeno ad accennare alla presenza dei bordelli riservati ai deportati” (pag. 121 del libro).
Sotto le querce di quel bosco, al ritorno, mi sono sentita protetta. Ebbene, il ritorno. Io potevo godermi il cielo azzurro, accarezzare i tronchi rugosi, ascoltare il fruscio delle foglie. Ero grata e ho pianto pensando a cosa avessero “visto e ascoltato” quegli alberi nel secolo scorso. Ovunque proteggi.
Grazie Libera Mazzoleni e grazie al MIA Photo Fair. Senza di voi questo approfondimento non sarebbe mai iniziato e la storia non finisce: prossima tappa Cracovia. Per non dimenticare. Per non dimenticarle.
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