Un’impresa impensabile, un’azione che entra di diritto nella leggenda. Mathieu van der Poel vince la Parigi–Roubaix dopo una fuga cominciata sul tratto di pavé d’Orchies, quando al traguardo nello storico Velodromo dell’Alta Francia mancavano ancora 60 chilometri. Una giornata che riscrive le leggi della Regina delle Classiche: per Van der Poel i tremendi tratti di pavé che hanno segnato la storia del ciclismo non sono l’Inferno del Nord, ma il terreno perfetto per sprigionare tutta la sua potenza. Con la maglia di campione del mondo addosso e il numero 1 cucito sulle spalle per la vittoria alla Roubaix di un anno fa, van der Poel sulla bicicletta pare una divinità onnipotente, capace di annientare i rivali e annichilire la corsa più impegnativa e iconica del panorama mondiale. I primi avversari sono arrivati al traguardo con tre minuti di distacco. Campioni del calibro di Philippsen e Pedersen semplicemente umiliati. La velocità media è stata mostruosa, ovviamente da record di sempre: 47,8 km/h.
Il gigante olandese ha deciso di vincere la Roubaix fin dal primo metro. La sua squadra, la Alpecin, ha tirato il gruppo dalla partenza, riducendolo a brandelli quando ancora la Parigi-Roubaix doveva entrare nel vivo: a 130 km dal traguardo davanti erano rimasti appena una trentina di corridori. Poi, nella foresta di Arenberg, il primo affondo di Van der Poel: così, giusto per saggiare la condizione sua e dei rivali. Ha perfino giocato il 29enne olandese, che si è fatto riprendere e staccare da chi velleitariamente ha tentato un allungo. Quando, metro dopo metro di pavé, il gruppetto dei superstiti si è ricompattato, Van der Poel ha piazzato la stoccata decisiva.
È scattato danzando sulle pietre, veleggiando di qualche millimetro sopra quel pavé che per gli altri significa tremori e sofferenza. Quasi annoiato, ha salutato il resto della compagnia e se n’è andato. Partire da solo a 60 chilometri dal traguardo per vincere è inconcepibile. O meglio, lo era fino a poco tempo fa. Perché dopo l’ultimo Fiandre, vinto da Van der Poel con una fuga di una quarantina di chilometri, è stato chiaro a tutti che quello scatto l’olandese lo ha fatto per arrivare al traguardo. Van der Poel non ha voluto solo vincere, ha voluto farlo in un modo che rimanesse scolpito nella storia del ciclismo. Ha voluto entrare nella leggenda.
In questo momento non c’è nessuno al mondo che possa gareggiare contro Van der Poel sul pavé. Il suo palmares parla chiaro: ha vinto tre volte il Giro delle Fiandre, arrivando altre due volte secondo. Ha vinto due Parigi-Roubaix, salendo un’altra volta sul podio (quando vinse Sonny Colbrelli). Ad impreziosire il tutto anche una Milano-Sanremo. E chissà che quest’anno, vista pure la penuria di avversari per via delle cadute, non provi anche a vincere la Liegi-Bastogne-Liegi: il favorito è Tadej Pogacar. Intanto in bacheca ha già sei sigilli nelle Classiche Monumento, di cui cinque sul pavé. Van der Poel è talmente forte da essere diventato quasi un problema.
Sì, può sembrare un paradosso definire problematica un’impresa leggendaria. L’olandese è senza dubbio spettacolare da vedere in bicicletta. Le sue azioni, un po’ come quelle di Pogacar su altri terreni, riportano al ciclismo di un’altra epoca. Per trovare un distacco superiore tra il vincitore e il secondo bisogna tornare ai tempi di Johan Museeuw. Ma a 50 chilometri dal traguardo la Parigi-Roubaix era praticamente già stata assegnata. Lo show, ed è davvero assurdo per come era il ciclismo solo fino a pochissimi anni fa, si è visto più nelle prime fasi della gara che al pomeriggio, quando milioni di appassionanti da tutto il mondo normalmente si collegano davanti alla tv per assistere ai tratti di pavé più impegnativi. Dire che l’assolo di Van der Poel è stato noioso è come bestemmiare. Ma la sua grandezza è talmente devastante da ammazzare la competizione. Per il momento non resta che celebrarlo e inchinarsi alla sua potenza sul pavé. Nella speranza di aver presto qualcuno quanto meno in grado di contrastarla.