Caro Giuseppe Conte, che ne pensa della frase “la vita è per il 10% quello che di capita e per il 90% come reagisci” (…a quello che ti capita)”. E’ una frase che mi è tornata in mente molte volte in questi giorni di bufera giudiziario-politica-mediatica, nella quale si sono consumati destini personali e ipotecati destini collettivi. I giornali hanno riportato con grande rilievo l’ultimatum lanciato da lei ad Elly Schlein, che suona così: la Segretaria del Pd faccia pulizia di cacicchi e capibastone altrimenti nessuna alleanza. Verrebbe da dire, mutuando dall’insuperabile Massimo Troisi: “Sì, Sì.. ‘mo me lo segno, non vi preoccupate”.
La questione, infatti, è tanto centrale, quanto antica e sicuramente sta in alto nelle priorità della Segretaria del Pd che proprio di “cacicchi e capibastone” aveva parlato nel suo discorso di insediamento, prendendosi l’impegno di combatterli strenuamente. Un impegno che affonda le sue radici culturali nella denuncia, da più parti evocata, fatta da Enrico Berlinguer, che con le parole “questione morale” intese fare riferimento all’occupazione della sfera pubblica da parte dei partiti ed in particolare delle correnti di partito, utile non a far funzionare la Repubblica ma soltanto a garantire rendite di posizione fondate sul clientelismo, scientificamente apparecchiato. Un impegno, quello contro “cacicchi e capibastone”, che osteggiando comportamenti moralmente ripugnanti finisce anche, di per se stesso, per prevenire ed osteggiare comportamenti penalmente rilevanti, perché “cacicchi e capibastone” quando imboccano la strada del clientelismo amorale è facile che perdano l’olfatto e non riescano più a sentire quando voti e soldi oltre che puzzare di compromesso, puzzano di mafia. Dunque un impegno necessario che attiene, o dovrebbe attenere, addirittura ad una sfera pre-politica. Ma, caro Giuseppe Conte, come si fa a passare dalle parole ai fatti?
Ci sono almeno due strade, che hanno però presupposti molto diversi.
C’è la strada di chi brandisce la famosa “scopa” e assestando colpi ben dati caccia via lo sporco (decidendo in seconda battuta se raccoglierlo con la paletta o nasconderlo soltanto sotto un tappeto). Ma può tentare di battere questa strada soltanto chi faccia del partito una cosa sua, della quale cioè essere o sentirsi il padrone: arbitro indiscusso e spietato di cosa sia spazzatura e di cosa non lo sia, arbitro indiscusso tra il “prima di me” ed il “dopo di me”. Io diffido profondamente di una simile impostazione, sia perché mi pare più utile ad una certa bulimia comunicativa che a risolvere davvero il problema (a questo proposito, se lo ricorda lei, Roberto Maroni con la scopa in mano a prendersi la Lega Nord?), sia perché mi pare preludere ad un modo di intendere l’azione politica che sa troppo di autoritarismo fascista. Ancora mi viene in soccorso Massimo Troisi: “Ma se era per i treni in orario, non potevamo farlo Capo stazione?”.
C’è un’altra strada, quella che rifugge dal mito pericoloso della palingenesi furiosa, che rifugge da approcci padronali ed illusoriamente definitivi, quella che con maggior mitezza (che nulla ha a che fare con la pavidità) e senso del limite, induce un/a Segretaria di partito a sollecitare la comunità che sta guidando alla corresponsabilità nel prendere ora e per il futuro decisioni che stigmatizzando condotte riprovevoli, ponga contemporaneamente i binari su cui continuare il viaggio in futuro. Corresponsabilità è la caratteristica che fa la differenza tra una cultura politica autoritaria e una cultura politica democratica.
Cosa è successo in Piemonte con l’esplodere dell’inchiesta Echidna? E’ successo che quella corresponsabilità ha prodotto tempestivamente decisioni chiare, riflesso della sintonia tra Segreteria nazionale e Segreteria regionale: al “pugno duro” della Segretaria ha corrisposto insomma la presa di posizione di Rossi (il Segretario regionale) che ha dichiarato: “Le responsabilità penali saranno stabilite dalla magistratura… Ma la nostra cultura politica ci impone di non demandare tutto alla magistratura, perché esiste uno spazio distinto, che precede il giudizio penale ed è quello del giudizio etico sulla opportunità o meno delle condotte di chi ha responsabilità pubbliche”.
Caro Conte, una cosa un po’ diversa dal comportamento di chi, pure indagato o addirittura sotto processo per ipotesi gravissime, tiene strette poltrone governative e prebende, con la speranza di tenersi in mano pure il Paese, contando sulla strumentale irriducibilità delle identità esibite dalle opposizioni. Cento anni fa l’inconcludenza delle forze socialiste italiane avrebbe spalancato le porte al fascismo e a poco sarebbero servite le pur lucide e coraggiose denunce di Giacomo Matteotti. Salire sul pulpito serve a poco, se poi non si riesce ad unire le forze.