Lunedì il quadro sarà completo. Dall’Agenzia delle Entrate arriverà il conto finale sui costi per le casse pubbliche del Superbonus e delle altre detrazioni legate ai lavori in casa. Dati aggiornati al 4 aprile, ultimo giorno utile per chiedere la cessione del credito o lo sconto in fattura dopo il decreto che ha definitivamente chiuso i rubinetti: in tutto si supereranno i 210 miliardi, ha anticipato il sottosegretario al Mef Fabrizio Freni. È il tassello atteso da via XX Settembre per licenziare – in vista del consiglio dei ministri di martedì – il Documento di economia e finanza 2024, l’ultimo visto che l’anno prossimo l’entrata in vigore delle nuove regole fiscali Ue modificherà calendario e strumenti. L’attenzione si concentra su un dato cruciale, l’evoluzione del rapporto debito/pil, e su una decisione ancora non confermata: invocando l’incertezza sulla futura contabilizzazione dei bonus e sugli orientamenti della prossima Commissione Ue, il governo è tentato di non indicare nel Def le proprie stime programmatiche, cioè i contorni della legge di Bilancio per il 2025. Un escamotage per non dover ufficializzare prima delle Europee decisioni politicamente impopolari.
Un passo indietro. Partiamo dal quadro macroeconomico tendenziale, quello cioè “a bocce ferme”, che sembra assestato: la crescita attesa dall’esecutivo per quest’anno sarà dell’1%. Il dato, inferiore all’1,2% inserito nella Nadef dello scorso autunno, è comunque sopra le stime di Bankitalia e della Commissione Ue e ai limiti della “forchetta” individuata dal panel di previsori (Cer, Prometeia, Ref-Ricerche e Oxford Economics) su cui si appoggia l’Ufficio parlamentare di bilancio. L’ottimismo verrà giustificato invocando lo stimolo che dovrebbe derivare dagli investimenti del Pnrr. Anche se una cosa sono i versamenti già ricevuti e quelli attesi, altro è capire se il Paese sarà in grado di utilizzarli nei tempi previsti dopo la revisione del Piano: l’Ufficio parlamentare di bilancio ha calcolato che quest’anno occorre spendere 42,4 miliardi, il doppio che nel 2023, e la cifra salirà a 57,9 l’anno successivo. I precedenti non fanno ben sperare.
Quanto al deficit/pil, dopo l‘esplosione al 7,2% registrata nel 2023 causa impatto del Superbonus 110% quest’anno il rapporto calerebbe intorno al 4,4%, poco sopra il 4,3% indicato nella Nadef. Quantificazione che potrebbe però saltare se nei prossimi mesi, alla luce del fatto che lo stop alle cessioni ha reso i crediti relativi alle ristrutturazioni edilizie non più liquidi, Eurostat rivedrà la decisione su come vanno indicati a bilancio. Finora sono stati “caricati” sull’indebitamento dell’anno in cui venivano richiesti, ma nel caso l’ufficio di statistica ritenga che siano diventati non pagabili (cioè non più fruibili con ragionevole certezza dal beneficiario) potrebbe chiedere di spalmarli pro quota su tutto il periodo durante il quale i contribuenti li possono portare in compensazione riducendo così il proprio carico fiscale.
Il tasto più dolente al momento resta però quello del debito/pil: la Nadef lo dava in impercettibile discesa al 140,1% del pil dal 140,2% del 2023, ma l’anno scorso il peso dell’inflazione e il calo dell’import energetico hanno cambiato le carte in tavola “dopando” il pil nominale. Il risultato è stato un deciso calo al 137,3%. Un assist che ora si trasforma in boomerang, perché nel frattempo i prezzi si sono raffreddati sgonfiando il denominatore del rapporto. E in aggiunta ha iniziato a manifestarsi l’impatto della compensazione dei crediti fiscali sul fabbisogno, e quindi sul debito. L’eredità del Superbonus, pesantemente sottostimata dal Tesoro che solo un anno in audizione fa l’aveva quantificato in soli 67 miliardi, pesa. A poco varranno privatizzazioni senza altra giustificazione economica, come quella di una quota di Poste. L’indicatore dovrebbe fermarsi nei dintorni del 139%, rendendo impossibile proseguire sul percorso di riduzione ritenuto tassativo per il secondo Paese più indebitato dell’Unione dopo la Grecia. Ref ricerche, nel rapporto sulla congiuntura aggiornato sabato, ipotizza un 138,5% quest’anno e un incremento al 140,8% nel 2025.
Fino al 2027, del resto, i bonus appesantiranno il debito di una cifra pari a 30-40 miliardi l’anno: pari a una manovra di bilancio. In queste condizioni, e con il nuovo patto di Stabilità che preclude la strada dello scostamento di bilancio, è impervio immaginare dove il governo possa trovare le risorse per rifinanziare nel 2025 il taglio del cuneo fiscale, l’Irpef a tre aliquote (servono circa 15 miliardi) e la replica della decontribuzione per le lavoratrici madri, senza contare gli stanziamenti necessari per la sanità e la promessa riforma delle pensioni rinviata già lo scorso anno. Tanto più che già in estate, dopo le elezioni europee, partirà nei confronti di Roma una procedura per deficit eccessivo che richiederà una mini manovra correttiva. E subito dopo si dovrà iniziare a preparate il piano di aggiustamento fiscale personalizzato da concordare con Bruxelles.
Di qui la tentazione di tenersi alla larga da quel terreno minato e mettere nero su bianco che ai saldi della manovra – e dunque alle eventuali marce indietro rispetto a misure che hanno dato un minimo sollievo alle tasche dei lavoratori – si penserà più avanti. Le opposizioni già attaccano: “Se davvero il governo non pubblicherà le indicazioni programmatiche saremmo di fronte ad una grave mancanza”, avverte l’eurodeputata del Pd Irene Tinagli. “Sappiamo, per stessa ammissione del ministro Giorgetti, che l’Italia entrerà in procedura per deficit eccessivo, ed è urgente sapere con quali politiche economiche e di bilancio vuole affrontare questa situazione. Quali altri tagli ci saranno? Come intendono affrontare la crisi del sistema sanitario? Come confermeranno l’alleggerimento delle tasse per le fasce più deboli? Come potremo sostenere gli investimenti?”. Il capogruppo dell’Alleanza Verdi e Sinistra Peppe De Cristofaro, presidente del gruppo Misto di Palazzo Madama, aggiunge che “sarebbe la prima volta che un governo pienamente in carica rinuncia ad indicare al paese che direzione prende la politica economica e di bilancio per l’anno in corso e per il futuro”.