Si era rotto il polso, ma sostiene di essersi fatto togliere il gesso solo dopo 8-9 giorni sostituendolo con un tutore mobile. Il motivo? Poter compiere movimenti più fluidi e quindi partecipare alla strage di via d’Amelio. È questa la versione di Maurizio Avola, mafioso divenuto collaboratore di giustizia e poi uscito dal programma di protezione. Una ricostruzione che per la procura di Caltanissetta fa acqua da tutte le parti: anche per questo motivo era stata ordinata una perizia medica. Killer della famiglia dei Santapaola di Catania, dopo quasi trent’anni Avola si è autoaccusato della strage di via D’Amelio: aveva raccontato di essere lui l’uomo sconosciuto avvistato da Gaspare Spatuzza nel garage di via Villasevaglios a Palermo, dove era stata imbottita l’autobomba usata per uccidere il giudice Paolo Borsellino. E in via d’Amelio sostiene di esserci stato pure lui, quel 19 luglio del 1992, travestito da poliziotto: dice di aver comunicato a Giuseppe Graviano il momento esatto in cui far esplodere la Fiat 126.
La versione di Avola – Un racconto contenuto nel libro Nient’altro che la verità di Michele Santoro, che non aveva convinto gli inquirenti. La procura di Caltanissetta, diretta all’epoca da Gabriele Paci, aveva smentito le affermazioni di Avola, ripetute anche davanti ai pm: il giorno prima della strage, infatti, la polizia aveva fermato il mafioso con un braccio ingessato a Catania. Si era rotto il polso dieci giorni prima, il 7 luglio, quando aveva avuto un incidente con un ciclomotore. E dire che lo stesso Avola aveva dichiarato di essere andato a Palermo già il 17 luglio (quindi due giorni prima) per preparare l’attentato. L’ex killer dei Santapaola aveva sostenuto di essersi fatto togliere il gesso da un conoscente che lavorava all’ospedale etneo, sostituendolo con un tutore mobile da sfilare all’occorrenza: non avendo molto dolore poteva muoversi abbastanza agevolmente, anche perché il polso fratturato era il sinistro, mentre Avola è destrorso.
Il gip ordina nuove indagini – Una ricostruzione che potrebbe trovare conferma dalla perizia ordinata dal gip Santi Bologna. Il 20 ottobre scorso il giudice per le indagini preliminari di Caltanissetta ha respinto la richiesta di archiviazione della procura, chiedendo nuove indagini entro sei mesi. Il gip ha accolto alcune delle richieste dell’avvocato Ugo Colonna, difensore dell’ex killer. Tra le altre cose il giudice ha ordinato un accertamento medico legale per chiarire “se la frattura di Avola fosse o meno composta; se alla luce del tipo di frattura riportata fosse possibile, anche se non corretta dal punto di vista sanitario, dopo qualche giorno la eliminazione del gesso applicato al braccio sinistro di Avola; se fosse possibile che quest’ultimo dopo pochi giorni, facendo sostituire il gesso con una doccia gessata lassa e sfilabile, potesse guidare l’auto, compiere gli atti quotidiani della vita (quali il vestirsi e lo svestirsi autonomamente) o manovrare con il braccio sinistro e sollevare piccoli pesi.” . A rispondere a queste domande è la perizia firmata dall’antropologa Chantal Milani, dall’ortopedico Andrea Miti e dal medico legale Cataldo Ruffino.
I risultati della perizia – Dopo aver visitato Avola, sottoponendolo a una serie di esami specialistici, i tre medici scrivono che “data la natura della frattura, instabile per l’appunto, la ‘non anatomicità‘ della guarigione potrebbe essere dovuta alla scorretta gestione dell’immobilizzazione che il paziente ha autonomamente rimosso dopo 8-9 giorni circa o ad una impossibilità di riallineare perfettamente l’arto con le manovre di riduzione”. Insomma: è possibile che Avola abbia effettivamente rimosso il gesso, ma è pure possibile che la ricomposizione della frattura non sia avvenuta in modo perfetto. Rispondendo alle domande poste dal gip, poi, i periti scrivono che sul braccio dell’ex boss ci sono esiti “di una frattura non composta” e che alla luce di questo tipo di lesione “era possibile, anche se non indicata sotto il profilo sanitario, la rimozione del gesso applicato al braccio sinistro all’epoca applicato al periziando”. Secondo i medici “una frattura recente di un segmento articolare, se di certo può in astratto comportare limitazioni di movimento e di stabilità dell’arto interessato, tuttavia, nel periziando, si è trattato di frattura polso in arto non dominante, con normali attività quotidiane che potevano essere svolte con supporto e la dominanza dell’altro braccio dominante”. E aggiungono che “le normali attività quotidiane (guidare, vestirsi, svestirsi, utilizzando la mano sinistra anche nel sollevare piccoli pesi, ecc.) possono di certo essere svolte” anche “con la permanenza di un dispositivo gessato, ben più limitante dal punto di vista motorio e meccanico (al netto dell’ingombro e rigidità del gesso) pur con qualche disagio”.
Quello che non torna nelle richiarazioni di Avola – Ovviamente tutto questo non vuol dire che Avola si trovava sicuramente a Palermo a preparare l’eliminazione di Borsellino. Intanto perché una cosa è riuscire a vestirsi e a guidare, un’altra ben diversa caricare un’auto di esplosivo. E poi va ricordato che il pentito sostiene di essere stato in via d’Amelio, travestito da poliziotto, nel momento in cui arrivavano le tre auto di scorta del magistrato: sarebbe stato lui a dare il segnale a Graviano, nascosto dentro a un furgone poco distante, per far esplodere l’autobomba. Ma Antonino Vullo, unico agente di scorta sopravvissuto alla strage, non ha mai raccontato di presunti colleghi presenti in zona quel giorno: “Non c’era nessun agente. Lo avremmo notato e saremmo stati anche contenti di vedere una figura in più, anche se poi dovevamo vedere se era davvero un collega… “. Non solo: Avola aveva detto che Borsellino aveva lasciato aperto lo sportello della sua auto. “L’unico sportello aperto era quello mio, quello della mia auto. Quello del giudice era chiuso“, ha detto Vullo davanti alla commissione Antimafia dell’Assemblea regionale siciliana. L’unico sopravvissuto della strage di via d’Amelio, dunque, smentisce Avola punto su punto.
La richiesta di archiviazione dei pm – Era anche sulla base di queste discrepanze se il procuratore capo di Caltanissetta, Salvatore De Luca, nell’ottobre del 2022 aveva chiesto di archiviare le indagini, sottolineando che “l’analisi complessiva delle dichiarazioni rese da Avola Maurizio fa ritenere assai probabile che le stesse, oltre ad essere certamente non veritiere, possano essere state eterodirette da parte di soggetti, non identificati sulla scorta delle indagini in corso interessati a porre in essere l’ennesimo depistaggio in relazione all’accertamento della verità dei fatti sulla strage di via D’Amelio”. Secondo i pm, insomma, l’ex killer dei Santapaola stava compiendo l’ennesimo tentativo d’insabbiamento delle indagini sull’eliminazione di Borsellino. I sospetti della procura era rafforzati dal fatto che le dichiarazioni del pentito sembravano essere costruite per riempire tutti i buchi della ricostruzione della strage. “Proprio prendendo le mosse dalle dichiarazione dello Spatuzza, non è certo un caso che Maurizio Avola con le proprie dichiarazioni miri proprio ‘a coprire’ quei dettagli non conosciuti dallo Spatuzza ed in relazione ai quali si sta ancora indagando in merito a possibili presenze esterne nelle fasi organizzative ed esecutive dell’attentato di via D’Amelio”. Insomma: per i pm i racconti dell’ex mafioso di Catania sembrano ideati appositamente per risolvere tutti i misteri della strage. Con l’effetto di bocciare definitivamente qualsiasi pista relativa a possibili responsabilità esterne a Cosa nostra.