È da almeno quattro lustri che una certa sinistra – ad oggi quella più rappresentata nel mainstream politico culturale, anche a livello di ospitate televisive, in cui è manifesto il bisogno di scandalizzare – si concentra su delle minoranze, per occultare la propria impotenza e mancanza di progetti alternativi rispetto al macello sociale compiuto su milioni di lavoratori e lavoratrici sempre più privi di diritti e tutele. Il tutto mentre si amplia come non si vedeva dagli anni fra le due guerre mondiali il divario tra i pochi ricchissimi e i moltissimi sempre più in difficoltà.

Minoranze come gli esponenti della comunità Lgbtq+ – di cui è sacrosanto tutelare i diritti, lo dico per inciso – o come i neonazisti, questi ultimi certamente da biasimare senza però esagerare la portata di un fenomeno che al momento incide poco o nulla sulla realtà sociale. Non la pensa così Christian Raimo, noto insegnante e scrittore ascrivibile alla sinistra radicale, che in una trasmissione su La7 ha testualmente dichiarato che “i neonazisti sono da picchiare” e anche agli studenti va insegnato ciò.

Sarebbe facile fare della morale: la dichiarazione di Raimo è irricevibile, irresponsabile e condannabile sotto tutti i punti di vista da cui la si guardi.
Sarebbe ostica anche la tesi secondo cui Raimo – ben consapevole che il mainstream mediatico richiede sparate grosse – avrebbe in realtà curato il proprio interesse, colpendo di fatto il nulla (ad oggi non si intravede un’invasione di neonazisti), ma con toni che gli hanno concesso le luci della ribalta (oltre a molte altre ospitate garantite, perché di questo ormai si cibano giornali e televisioni, salvo poi vomitare il tutto su un pubblico perlopiù inebetito e onnivoro). Il processo alle intenzioni non porta mai lontano nei sentieri della comprensione, e con la stessa metodologia potrei essere accusato anche io di criticare Raimo per beneficiare della luce riflessa data dalla notorietà del personaggio (Hegel parlerebbe di “cattivo infinito”).

Cerco allora di attenermi ai fatti che mi sembrano oggettivi, in questa vicenda miserevole ma esemplare. Il primo: la televisione italiana ormai regala le luci soltanto agli intellettuali che si lasciano ridurre a macchiette, ingabbiare in ruoli predefiniti e che possibilmente la sparano più grossa, con buona pace della verità, ormai ridotta a concetto evanescente. Il secondo: Raimo, per convinzione o per autopromozione (non saprei quale delle due sarebbe più grave), riesce a dire un qualcosa di talmente sbagliato e diseducativo da consentire perfino a un governo imbarazzante come quello attuale di protestare con ragione e biasimare la violenza dell’ideologia di sinistra.

Il terzo fatto oggettivo è il più significativo: al netto dell’assenza di una violenza diffusa ascrivibile all’ideologia neonazista o neocomunista, colui di cui non si tiene per nulla conto è il popolo italiano, vittima piuttosto di una violenza neoliberista (leggi: macelleria sociale) di cui destra e sinistra non si occupano, non la contrastano né sono in grado di (o vogliono) fronteggiarla con progetti sociali alternativi. Il tutto mentre gli intellettuali a cui il mainstream mediatico dedica spazio sono solo quelli che si infervorano per picchiare i neonazisti, distruggere le fondamenta di un inesistente patriarcato (magari per sostituirle con un matriarcato altrettanto discriminante) o ripristinare la giustizia culturale con l’inserimento di intellettuali di destra laddove si ritiene vi fosse un monopolio degli intellettuali di sinistra.

Come meravigliarsi, al netto di tutto questo teatrino dell’assurdo elevato a unica oasi di ragionevolezza, se il partito italiano più largamente “votato” è quello dell’astensione?!

Ma soprattutto, che razza di tempo sciagurato è il nostro, quello in cui – per dirla con Gilbert Keith Chesterton – tocca attizzare fuochi per testimoniare che due più due fa quattro, o sguainare spade per dimostrare che le foglie sono verdi in estate?! Essere costretti a sforzarsi sull’ovvio, o compiere atti rivoluzionari come dire la verità nell’epoca dell’inganno universale (G. Orwell), costituisce la misura più evidente di un’epoca miserrima in cui i picchiatori del nulla hanno preso il sopravvento sui pensatori del tutto.

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